In Lombardia dite addio a pinne e squame
MAI DIRE PESCARE: il medioevo della pesca italiana
Tutto ciò che dimostra quanto la gestione della pesca in Italia sia rimasta indietro di almeno 50 anni
http://www.lecconotizie.com/ambiente/pesci-low-cost-la-provincia-di-lecco-aderisce-al-progetto-68055/
2012, in pieno medioevo ittico, l’ultima sentenza di morte da parte dell’inquisizione della Giunta Provinciale di Lecco ha data 16 giugno prossimo venturo.
Teatro dell’altare sacrificale il mercato ittico di Milano e l’Assessore Carlo Signorelli il messaggero.
Si legge dal comunicato stampa:
“Pesci low cost: la provincia di Lecco aderisce al progetto”
LECCO – La Giunta Provinciale ha approvato un protocollo d’intesa biennale finalizzato alla valorizzazione delle specie ittiche a basso valore commerciale per il periodo 2012-2013. Sarebbe più opportuno dire “finalizzato alla pesca” per ridurne il numero, dato che secondo le stime pesci Siluro, Carassio e Gardon pesci, originari dei fiumi e laghi dell’Europa orientale stanno mettendo a rischio gli equilibri ecologici dei nostri laghi e delle specie autoctone.
Ma se fino a oggi le Province hanno dovuto sostenere onerosi interventi di contenimento tramite pesca e successiva eliminazione, ora scatta il business, infatti se la pesca professionale non è mai stata interessata alla cattura di queste specie che, pur essendo commestibili, non sono richieste dal mercato locale ora c’è chi li cerca perchè si è scoperto che da parte delle numerose comunità provenienti dall’Europa orientale il Carassio e il Siluro sono considerati delle vere e proprie prelibatezze.
Da qui l’iniziativa, promossa dalla Regione Lombardia, alla quale partecipano la Sogemi spa (che gestisce il Mercato Ittico di Milano, primo in Italia per quantitativo di specie ittiche movimentate e commercializzate, informata sul fatto che Carassio e Siluro piaccio alle genti dell’est), le Province di Lecco, Como, Varese e Sondrio, l’Associazione grossisti e commissionari prodotti ittici, l’Associazione provinciale esercenti il commercio ambulante e l’Associazione nazionale autonoma piccoli imprenditori della pesca.”
Traduciamo il senso?
I mestieranti ittici devono uccidere pesce per campare, ma siccome sono finiti i pesci classici commercializzabili in Italia, attraverso un aggevolazione alla piaga della pesca di professione, si creano i presupposti per ammazzare (e soprattutto vendere) quello che di fatto sopravvive.
Così aldilà di tutta la prosopopea, pochi individui che traggono profitto dallo sfruttamento degli ecosistemi acquatici, trovano, attraverso la politica locale, l’opportunità di continuare a depredare le acque e vendere: c’è rimasto solo l’alloctono? Troviamo il modo di venderci anche quello….!
MAI che il politico di turno, o il suo scagnozzo tecnico (in tutta l’Italia ben inteso, non solo li) abbia mai pensato un modo per far soldi con i pesci vivi, ma sempre e solo con i pesci morti, facciamo un esempio banale: 100 euro per 3 uscite di pesca sportiva agli stranieri e le casse si rimpiguano, mentre i mestieranti che per 1000 anni hanno guadagnato rubando una risorsa ecologica pubblica…si fottano, siano grati per ciò che hanno già ingiustamente incassato e vadano a cercarsi un lavoro vero!
Ma quando interviene un polo di interesse economico la politica si inchina e la vita ambientale paga.
Quindi finite le tinche, i coregoni, le anguille e tutto il resto del pesce italianamente da tavola, il carrozzone non può fermarsi, quindi sdoganiamo con i pesci rimasti il “cerca chi lo mangia così so a chi venderlo” (la Sogemi SPA in parole povere dice questo).
Ma i grandi luminari dell’economia, della gestione e dell’amministrazione pubblica però non hanno fatto i conti con un altra realtà: i pesci che citano, cioè siluri, carassi e gardon, non vengono mangiati in loco non solo perchè culturalmente distanti dalle nostre ricette, ma soprattutto perchè quasi sempre abbinati ad acque dalle pessime condizioni sotto il profilo dell’inquinamento.
Chi controllerà la sanità di questi pesci? Chi controllerà “chi controlla”? Chi verificherà la tracciabilità, la provenienza e la compatibilità alimentare di questi pesci tipicamente di acqua marcia?
Nessuno…
L’extra comunitario non fà domande quando il prezzo è sotto i 5 euro al chilo e siccome è proprio la volontà politica a generare il business nulla deve opporsi.
E’ normale: è l’Italia.
Così, grazie ai grandi luminari “scopriamo” solo oggi che c’è chi è disposto a mangiarsi qualsiasi cosa, ma sappiamo anche che le stesse etnie, golose di carassi, amano banchettare anche con la carpa: visto che l’ambiente di prelievo con le reti è identico secondo voi le carpe torneranno in acqua e quante finiranno nei listini statistici della Sogemi SPA?
L’errore che spesso si fà è quello di credere che le amministrazioni compiano il bene comune: sbagliato.
In questo caso si stà solo favorendo un mercato, una categoria e sfruttando una risorsa che si sa far fruttare solo da morta, in altre parole dall’affermazione del Homo Sapiens a oggi (2012) non c’è stata nessuna evoluzione nel rapporto uomo/pesce: l’uomo uccide il pesce e ne trae vantaggio.
Ma ora passiamo ai GRANDI ASSENTI, cioè coloro che dovrebbero rappresentare la “contro categoria” che dovrebbe contrastare tali medioevali manifestazioni.
FIPSAS: ci campa con carassi e gardon, per tutte le loro gare e manifestazioni, a loro servono vivi (da morti non abboccano) ed è grazie a quelli, cioè a ciò che è sopravvissuto in acqua che ancora ha senso fare una tessera o una gara. In teoria è la rappresentanza dell’esigenza sportiva della popolazione italiana, ma in questa storia la Fipsas dov’è?
A pesca da un altra parte….
Gruppo Siluro Italia: è la rappresentanza italiana della pesca sportiva al siluro, cioè quella componente che potrebbe dare un valore alla specie da viva, ma in questa storia dov’è? A pesca da un altra parte….
Carp Fishing Italia: il rischio che anche la carpa sia preda del progetto è palese, se non addirittura consequenziale, e li il PTC avrà il valore di un attacco di diarrea in pubblico: dov’è in questa storia il Carp Fishing Italia? A pesca da un altra parte…..
Aziende di Settore della pesca sportiva: al pari del (ci autocensuriamo l’aggettivo) pescatore mestierante, anche loro sono un polo di interesse economico. Vivono grazie alla vendita di attrezzature che servono a pescare siluri, carassi e gardon; se questi finiscono nel sistema digestivo dell’extracomunitario cosa venderanno?
Non interessa a nessuno in quanto i pescatori di professione sono politicamente rappresentati, mentre le aziende di settore no. E dove sono in questa storia queste aziende della pesca sportiva?
A pesca da un altra parte…con Fipsas e GSI.
Confconsumatori:
Perchè la Confconsumatori, da sempre impegnata per la tutela dell’acquirente finale non si pone il dubbio sulla qualità del pesce proposto in questo progetto?
Semplice: perchè non lo sà…
Nessuno è mai andato (prima di noi) a mettere la pulce nell’orecchio sulla tracciabilità del pesce pescato in acque interne, che merita di essere controllato e verificato al pari di quello di mare, prima di dire “si è buono si può vendere”, così come merita di essere trasportato a norma di legge su mezzi autorizzati, stoccato nelle procedure della “catena del freddo” ed etichettato a norma.
Mentre si sà, che l’atteggiamento romantico tradizionalista del pescatore di mestiere è quello che trasporta il pesce sul cassone dell’Ape Piaggio sotto dei sacchi di iuta bagnata, che non ti dice dove li ha presi per paura che al prossimo giro ci trovi il concorrente e che, se non ha raggiunto il bottino economico necessario a fare il pieno all’Ape cassonato, comprare le sigarette, gratificare la badante rumena, accetta di pescare…ovunque.
Questa è la triste storia della piega che ha preso l’ecosistema del piano delle acque lombarde: questa è la triste storia della gestione della fauna ittica in Italia…