4 PASSI TRA IL CARBONIO…
Con Stefano Di Buò, tecnico progettista delle canne Tubertini, ho voluto addentrarmi nella galassia complessa ed affascinante dei materiali con cui vengono costruite le canne che ogni giorno impieghiamo per il nostro sport preferito: le fibre di carbonio. In questo percorso abbiamo cercato di disegnarein maniera semplice e, spero, comprensibile ai più, il cammino della fibra di carbonio dalla sua realizzazione fino al momento in cui l’utente finale prende in mano la canna finita, con un occhio di riguardo all’attrezzo più complesso da progettare e realizzare: la roubaisienne.
Stefano è un grande conoscitore della materia ed ama profondamente il carbonio e la sua lavorazione. Nel suo curriculum professionale annovera fondamentali esperienze in importanti aziende nel settore della trasformazione del carbonio, ed ho potuto constatare con mano, nel corso di questa lunghissima chiacchierata, il rispetto che nutre per questo materiale e la voglia, ancora intatta, che lo anima nella ricerca dei nuovi orizzonti che esso può offrire.
Stefano è anche la mente tecnologica del progetto Concept, colui che ha materialmente tradotto in progetto esecutivo una idea dello staff tecnico Tubertini, una idea che sembrava azzardata ma che un pubblico molto vasto ha dimostrato di saper comprendere da subito, premiando il coraggio e la sfida tecnologica della ditta di Bazzano con risultati di vendita al di là delle aspettative.
LA QUALITA DEL MATERIALE ORIGINARIO: PAN o PITCH?
“Le fibre di carbonio che ci interessano si suddividono innanzitutto in due grandi famiglie, a seconda del precursore originario da cui ha origine il filamento di carbonio. Esse si definiscono PAN (derivate da ossidazione e pirolisi del PoliAcriloNitrile) o PITCH (derivate da medesimi processi ma con precursori pece o rayon). Quest’ultime sono di qualità inferiore rispetto alle fibre che hanno precursore PAN, la loro capacità di impregnazione è peggiore, sono estremamente fragili e delicate, quindi meno interessanti dal punto di vista produttivo specifico delle canne da pesca. Per contro le PITCH hanno prezzi molto più vantaggiosi rispetto alle PAN.”
Fatta questa importante distinzione Stefano, cominciamo ad analizzare l’inizio del processo produttivo…
“Il carbonio è disponibile, a livello industriale, sotto forma di filato secco, lungo centinaia di metri ed avvolto su delle rocche. Grossolanamente si presenta come uno spago, ed è composto migliaia di microfilamenti del diametro di qualche micron.
Esistono svariate tipologie di filato grezzo, realizzato con procedimenti tecnici differenti e con caratteristiche meccaniche molto diverse tra loro, finalizzate all’uso che se ne andrà a fare. Da qui le varie definizioni di “Alto Modulo”, “Alta Resistenza”, “Modulo intermedio”, “Super Alto Modulo” ecc, sostanzialmente delle macrofamiglie di fibre differenti. Gli “Alto Moduli” ad esempio, hanno delle caratteristiche meccaniche di elevato valore di rigidità a fronte di un basso valore di tenuta all’allungamento, quindi molto rigide ma molto fragili; le “Alta Resistenza”, di contr, hanno maggiori caratteristiche di resistenza ma con un valore di modulo elastico, di rigidità, più basso e così via.
Sotto questa forma iniziale viene prodotto da poche aziende al mondo, americane, russe ma le leader mondiali sono sostanzialmente giapponesi; queste lo forniscono poi a tanti fruitori differenti sparsi nel mondo, i cosiddetti “impregnatori”, che lavorano il filo trasformandolo in prodotti molto differenti, definibili come “tessuti” e “tape”, due categorie di semilavorati destinato a svariati usi, a livello industriale civile, militare e, appunto, sportivo. Dal prodotto impregnato al prodotto lavorato di solito c’è un ulteriore passaggio ad aziende “trasformatrici” che lavorano i prodotti impregnati per realizzare i vari oggetti. A volte queste due realtà coincidono nella stessa azienda, più spesso le ditte sono distinte, questo perché la fase dell’impregnazione richiede attrezzature e tecnologie molto costose.”
A noi interessano entrambe queste categorie di semilavorati?
“Tendenzialmente no. I tessuti sono realizzati tessendo letteralmente il filato secco di carbonio in trame ed orditi come un qualsiasi filamento e poi impregnati con le resine; questa tipologia di prodotto si usava agli inizi in cui cominciarono a realizzare canne in carbonio, ma è stata una pratica che è andata via via scomparendo man mano che vi è stata l’evoluzione dei processi di lavorazione della fibra originaria, perché l’intreccio, l’angolazione delle fibre che si determina realizzando il “tessuto”, deteriora le caratteristiche della fibra originaria di carbonio, facendole perdere importanti percentuali di elasticità e resistenza.
I tessuti vengono maggiormente impiegati nell’industria per la loro capacità di adattarsi meglio a stampi per costruire pezzi come parti di carrozzerie, piuttosto che ali di aeroplano o altre applicazioni sagomate. Questo concetto é conosciuto ed impiegato nella applicazioni sportive da alcuni decenni.
Per le canne da pesca, le applicazioni di tessuto restano confinate alla realizzazione di particolari, perché esteticamente il tessuto è più bello, oppure per la realizzazione di un rinforzo negli innesti ecc.”
Restano i tape, allora…
“Il massimo della resa meccanica delle fibre di carbonio si ottiene allineandole ad angolazione 0, cioè unidirezionalmente tra loro. Per fare questo occorrono alcune lavorazioni piuttosto complesse che conferiranno poi differenti caratteristiche al materiale finale.
L’insieme di questi passaggi porta alla “impregnazione”.
Vengono prese un certo numero di bobine di filo di carbonio secco e si dispongono i fili di ogni rocca in una cantra, un supporto metallico specifico che ha la capacità di accogliere alcune centinaia di bobine di fili di carbonio disposti parallelamente l’uno all’altro, ravvicinati e tensionati secondo certi parametri specifici. A questo punto queste centinaia di fili di carbonio vengono “calandrati”, cioè vengono fatti passare attraverso due rulli d’acciaio distanti tra loro alcuni centesimi di millimetro. Il numero dei fili di carbonio impiegati per realizzare il tape (50/100/200/400..) determinerà il peso finale al metro quadro del prodotto. In questa fase, passando tra i due rulli di acciai, i fili di carbonio vengono accoppiati ad un foglio di carta prespalmato di resina. Sottoposti a questo schiacciamento i due materiali si congiungono ed il risultato all’uscita è una sorta di tappeto nero, uniforme, composto dalle migliaia di microfilamenti che componevano ogni singolo “spago” di carbonio di ogni bobina, schiacciati dalla pressione dei rulli di acciaio e tenuti adesi l’uno all’altro dalla resina. Questo risultato è un “tape” di carbonio unidirezionale impregnato di resina. “
Da qui il termine “unidirezionale” che spesso viene usato parlando di canne…
“Si, Il termine unidirezionale significa proprio che le fibre del materiale sono disposte tutte in una unica direzione. E’ importante, concettualmente, fare questa distinzione con i “tessuti”, per le motivazioni che abbiamo detto prima.
Oggi si usano quasi esclusivamente dei “tape”, appunto, realizzati con questo procedimento di allineamento unidirezionale.
Il tape viene poi confezionato in grosse bobine di varia lunghezza..”
Cosa ci porta questa gamma di tape differenti?
“Avere un ventaglio di prodotti con qualità differenti ci consente di poter letteralmente assemblare materiali differenti a seconda del risultato che vogliamo ottenere, in relazione alla tipologia di prodotto, all’uso e, non ultimo, al budget e alla fascia di prezzo cui quel prodotto sarà destinato.”
Veniamo all’ambito che ci interessa: la progettazione di una canna da pesca…
“Certo. Nella progettazione di canne da pesca si usano una vasta gamma di tape con caratteristiche differenti. Prendiamo ad esempio una roubaisienne e alle caratteristiche che essa deve avere: rigidità e leggerezza. Essa non è soggetta a stress esagerati in allungamento, ad esempio, infatti non vedrai mai una canna ad innesti che si flette come una canna da spinning o da mosca o sollecitata in trazione e allungamento come una canna da surf casting. Le fibre che rispondono meglio alle esigenze di costruzione di una roubaisienne sono appunto gli Alto Moduli (High Modulus) e i Super Alto Moduli (Super High Modulus), fibre rigide, molto rigide.”
Definiamo meglio il concetto di modulo…
“Il modulo elastico è una caratteristica intrinseca di ogni fibra di carbonio, identificato da un numero progressivo. Facciamo un esempio semplice anche se il concetto è più complesso: se produco un tubo di carbonio con un certo materiale e lo pongo in sospensione tra due fulcri, il modulo di elasticità identifica la forza, espressa in tonnellata (ton), necessarie per fare flettere di un certo quantitativo quel tubo. Maggiore è la forza impiegata e maggiore è il modulo del materiale. Ovviamente ci sono implicazioni più complesse e tecniche che vanno oltre questa trattazione ma il concetto è questo. Modulo di elasticità alto=maggior rigidità. Per gli Alto Moduli si parla di 70 ton/mm2, 80 ton ecc. Moduli elastici minori (20 ton, 30 ton ecc) contraddistinguono filati con differenti qualità: minor rigidità ma maggior resistenza.”
Quindi per realizzare una roubaisienne, soprattutto di alta fascia, ci rivolgiamo alla categoria degli Alti Moduli…
“Esatto. Inversamente, se debbo pensare una canna da siluri, ad esempio, è intuibile che mi rivolgerò alla famiglia dei moduli bassi o intermedi, perchè in quel caso avrò bisogno di maggiori condizioni di resistenza mentre la leggerezza e la rigidità passano in secondo piano…”
Torniamo al nostro tape…
“Avendo a disposizione una vasta gamma di tape con caratteristiche differenti, al momento di progettare una canna mi rivolgo alle famiglie di tape con le condizioni migliori per il mio progetto. Quando si pensa una nuova roubaisienne si parte dallo stabilire che cosa si vuole ottenere, dall’evoluzione del prodotto precedente che si vuole cercare: un attrezzo più rigido o più sottile o più resistente. Per arrivare a questi risultati occorre partire da condizioni imprescindibili come aspetto economico e geometria della canna. Ci sono software che ci aiutano nella realizzazione di un nuovo progetto, permettendoci di progettare la geometria della canna e di ogni singola sezione che la compongono e calcolare le stratificazioni dei vari tape di ogni sezione. Ogni sezione può essere progettata con tipologie differenti di tape di moduli differenti e differenti caratteristiche meccaniche. La perfetta combinazione dei vari materiali, nelle giuste quantità e nei punti giusti della sezione determinano il risultato finale. Dobbiamo considerare, per capire questo discorso, che ogni sezione della canna è soggetta a differenti sollecitazioni: flessionali, torsionali ed ovalizzanti. Ogni sezione dovrà essere progettata tenendo conto di queste sollecitazioni, a seconda delle varie posizioni di ogni sezione nella canna.”
Queste sollecitazioni agiscono in direzioni differenti rispetto all’asse della canna. Come si ovvia, in progettazione, a queste differenze?
“Osservazione precisa. Le fibre, quindi i tape, anche se unidirezionali, si possono assemblare tra loro con orientamenti differenti rispetto all’asse della canna, proprio per sopportare meglio queste sollecitazioni, arrivando fino anche a 90° tra uno strato e l’altro, per dare struttura alla canna. Si intuisce che una base o un 8° pezzo avranno necessità molto differenti da un 4° o 3° pezzo come struttura. Un altro fattore importante per determinare le caratteristiche di una sezione è il diametro, il cui incremento o decremento permette geometrie differenti delle sezioni e, di conseguenza, di usare materiali differenti, con costi differenti e qualità differenti. “
Anche da profano si intuisce che è un vero e proprio universo, con molteplici variabili da considerare. Ecco come si giustifica la necessità di un vero e proprio progettista per realizzare dei prodotti moderni ed evoluti…
“Sicuramente al giorno d’oggi realizzare una canna di alto livello presuppone conoscenze tecniche inimmaginabili fino ad un po’ di anni fa. I processi di realizzazione dei materiali e la loro gamma sempre più ampia obbliga ad avere delle professionalità di un certo tipo. Certamente non tutti gli anni si riparte da zero per un progetto nuovo, radicalmente differente. Anche in questo campo le esperienze precedenti sono un punto di evoluzione per un nuovo prodotto. Ci sono comunque dei punti fissi da cui partire, come ad esempio, i 42/43 mm di diametro della base e i 2.8/3 della vetta: in questo range si deve sviluppare una canna di 13 metri. Come ci si arriva è il succo della sfida! ”
La componente tecnologica, quindi, è sempre più importante per la realizzazione di un prodotto di alto livello…
“La tecnologia, anche in questo campo dell’industria, ha assunto una importanza via via maggiore negli anni; non bisogna pensare, però, che sia solo una questione di software e tecnologia. La componente umana rimane comunque imprescindibile, poichè sono le sensazioni in pesca e la sensibilità di chi testa la canna a dare al progettista gli imput e le indicazioni per le eventuali correzioni, che ci sono sempre, che portano dal progetto iniziale al prodotto finito per il cliente. ”
In Tubertini tu sei l’unico progettista delle canne? Qual è il tuo lavoro, esattamente?
“In Tubertini c’è uno staff di cui io sono un componente, un elemento, ma le canne sono il prodotto di un grande lavoro di squadra, ognuno per la sua parte. Io lavoro molto al computer piuttosto che alla ricerca dei materiali, ma ci sono diverse persone che gravitano attorno alla realizzazione di un progetto, da Lele a Paolo Cavazza, da Glauco Tubertini ai vari campioni delle varie specialità che portano le loro richieste ed esperienze, le loro prove e le loro indicazioni: Ferruccio Gabba, Simone Carraro, Marco Volpi ecc.
Personalmente io produco la scheda tecnica delle varie sezioni che compongono la canna. Qui è riportata la geometria delle varie sezioni, cioè il profilo che ogni sezione ha ed i materiali che la andranno a comporre. Ad una visione sommaria una sezione può apparire come un tronco di cono molto allungato. In realtà può avere un profilo più complesso, poco apprezzabile alla visione, si parla di centesimi di millimetro, ma fondamentale per determinarne l’azione. Ad esempio, in una roubaisienne il profilo del 4° e del 5° elemento sono fondamentali per caratterizzarne l’azione finale. Ogni sezione, in definitiva, ha la sua logica e la geometria della canna influisce almeno quanto il materiale con cui è realizzata, se non di più, sulla azione e la qualità dell’attrezzo finito.”
Una volta realizzata la scheda tecnica…
“Nella scheda tecnica sono segnati gli stampi, i famosi mandrini, su cui vengono avvolti i tape di carbonio indicati. I mandrini sono gli elementi in acciaio o in alluminio su cui vengono laminati i pezzi di tape di carbonio, opportunamente calcolati nelle dimensioni, che al termine della lavorazione daranno vita ai vari pezzi della canna. Lo stampo non è mai cilindrico ma di conicità variabile nel suo sviluppo e, ovviamente, dovrà avere le dimensioni giuste al centesimo per far si che, al termine, ogni sezione si innesti nella precedente e nella seguente. Durante la lavorazione, sullo stampo vengono avvolti i pezzi di tape nei modi, nelle quantità e nelle dimensioni calcolate nel progetto e riportate sulla scheda tecnica. I mandrini sono realizzati da aziende esterne e sono prodotti estremamente tecnici, complessi da realizzare, con tolleranze nell’ordine di 1/100 di mm.”
Allora i mandrini di una canna si impiegano solo per quel modello?
“Non necessariamente. Un buon studio tecnico è anche quello che riesce ad assemblare mandrini di canne differenti, preesistenti, lavorando sulle caratteristiche dei materiali, riuscendo ad ottenere un attrezzo nuovo e dalle caratteristiche prefissate. Un bravo tecnico cerca di contenere anche il numero degli stampi da produrre, per contenere i costi. Anche in questo campo l’informatica ci aiuta, con le banche dati dei vari mandrini già impiegati, che il tecnico cercherà di riutilizzare applicandovi materiali differenti o differentemente assemblati, per realizzare un nuovo prodotto.
Spesso questo lavoro è svolto da un tecnico dell’azienda che produce praticamente le canne e le ditte rivenditrici scelgono un prodotto tra quelli proposti o chiedono un prodotto con alcune caratteristiche ma non hanno molto margine di azione sulla parte tecnica. In Tubertini, invece, parte del mio lavoro è anche questo: interagire direttamente con i tecnici delle fabbriche che realizzano le canne, analizzando tecnicamente prodotti e geometrie, in un confronto diretto e costante. Questo è il valore aggiunto del mio lavoro, poiché io conosco materiali, procedimenti e tecniche di realizzazione.”
Eravamo arrivati al momento dell’avvolgimento dei tape sui mandrini…
“Si. Per realizzare ogni pezzo della canna vengono tagliate pezze di tape di forma e dimensioni segnate sulla scheda tecnica; questi vengono poi avvolti sul rispettivo mandrino, preventivamente trattato con dei liquidi distaccanti, nei punti indicati sulla scheda tecnica e quindi pressati, termoformati, con un film di polipropilene che, tramite il movimento di una sorta di tornio, viene avvolto a forte pressione sopra i fogli di tape arrotolati sul mandrino. In questo modo il carbonio viene compresso fortemente sullo stampo e ne prende esattamente la forma, compattandosi.
A questo punto il pezzo così composto viene polimerizzato, letteralmente cotto, tramite un forno o una autoclave, un forno che produce anche una pressione più o meno forte.
Questo procedimento è fondamentale per trattare le resine con cui è stato formato il tape inizialmente in fase di calandratura dei fili di carbonio. Senza le resine, che hanno una consistenza collosa, mielosa, il filamento di carbonio sarebbe inutilizzabile. La resina ha, in sintesi, il compito di tenere in posizione le fibre di carbonio con cui viene accoppiata. Un esempio che può chiarire le idee è quello del cemento armato, in cui i tondini di ferro sono l’equivalente dei filamenti di carbonio, mentre il cemento è la matrice, la resina, che, una volta attivata, tiene assieme il tutto. Anche il cemento è un materiale composito, come il tape di carbonio. La resina ha bisogno di un “ciclo di cura” per attivarsi, per esprimere le proprie caratteristiche; questo “ciclo di cura” si ottiene tramite calore, generalmente 120/130°. Il vantaggio dell’ uso dell’autoclave rispetto al forno è quello di creare una pressione fino a 8 bar che compatta ancora di più il composito carbonio/resina sul mandrino, creando un prodotto dalle caratteristiche ancora migliori. Purtroppo l’uso dell’autoclave non è così diffuso e questo determina differenti qualità di prodotto. Ad esempio in Cina la produzione con autoclave è piuttosto rara mentre alcune produzioni italiane ne dispongono. L’uso dell’autoclave non è però la norma, anche perché incide in maniera importante sul costo del pezzo. Terminato questo procedimento il mandrino viene estratto con attrezzi specifici e ci resta la nuova sezione della canna, a cui viene poi tolto anche il film di polipropilene che vi era stato arrotolato sopra prima della cottura.
E’ importante spendere due parole sui vari tipi di polipropilene che possono venir usati, perché da esso dipendono sia alcune caratteristiche meccaniche del prodotto, e qui si entra in un campo “riservato” che non posso spiegarti per ovvii motivi industriali, che l’aspetto estetico del pezzo. Infatti, a seconda delle caratteristiche estetiche del film impiegato (lucido, satinato, con disegni o colori vari ecc.), il pezzo finito riporterà in superficie queste caratteristiche che ne cambiano l’aspetto. Questa idea è comunque fonte di brevetti delle varie aziende che in questo modo possono decidere di determinare l’aspetto estetico finale delle proprie canne.”
A questo punto il pezzo è terminato…
“Quasi. La struttura ha assunto le caratteristiche finali. Si procede al taglio delle estremità sino a farlo divenire della lunghezza prefissata sulla scheda tecnica e, se deve essere soggetto a verniciatura, deve essere levigato leggermente per far si che le vernici possano attecchire perfettamente. E’ a questo punto che vengono applicati adesivi, etichette, serigrafie che ne determineranno l’aspetto che poi il cliente trova nella vetrina del negozio. Anche queste lavorazioni sono eseguite in un reparto apposito dell’azienda produttrice.”
Quando entrano in gioco gli esperti, i campioni?
“Molto prima! A parte un confronto iniziale sull’idea da realizzare con il nuovo prodotto, Ferruccio entra in gioco nel momento in cui si ha il primo prototipo. Questo viene provato in simulazione ed in pesca e poi mi riporta le sue impressioni, le piccole modifiche che reputa giuste per creare il feeling voluto. A volte dall’ideazione al pc al prodotto finito ci possono essere differenze abbastanza importanti e quindi occorre modificare il progetto anche in maniera sensibile.”
Proseguiamo il nostro discorso tecnico. Dalle tue parole mi sembra di aver capito che, per l’impiego in questo settore, che rimane comunque di nicchia rispetto agli usi industriali che si fanno in tutto il mondo del carbonio, le aziende stanno già impiegando materiali al top come livello qualitativo. Questo significa che siamo arrivati ad un punto morto nell’evoluzione delle canne da pesca e delle roubaisienne in particolare?
“Occorre fare una distinzione tra materiali originari, il filato di carbonio, e le resine ed i processi costruttivi. Come materiali di carbonio stiamo usando da un po’ di tempo il top del settore per questo impiego, cioè gli unidirezionali in alto ed altissimo modulo. La grande evoluzione nel settore fibre si è avuta dalla metà degli anni ’80 per almeno un decennio. In quegli anni nascevano continuamente nuove fibre, con caratteristiche migliori, quindi realizzare canne più belle era relativamente facile. Da circa una quindicina d’anni in questo settore non ci sono state grosse evoluzioni e quindi i settori su cui si lavora già da un po’ di tempo sono quelli delle resine impregnanti e delle geometrie delle canne. E’ stato in questo ambito delle resine che si sono sviluppati studi e ricerche che hanno fatto evolvere il prodotto finito nel recente passato, addizionandole con materiali vari affinché riescano a far lavorare sempre meglio la fibra che impregnano, magari con contenuti di resine sempre minori, a tutto vantaggio del peso finale della canna.”
Arriviamo alla importante innovazione presentata a fine 2012 da Tubertini, la Concept8, una roubaisienne in 8 sezioni dal profilo innovativo. Stefano, la Concept8 è un punto d’arrivo o un punto di partenza?
“Dal mio punto di vista sicuramente un punto di partenza, perché questo è il mio credo e credo negli sviluppi che questa nuova strada ci prospetta. Sarà una strada difficile, complessa, perché anche con le geometrie siamo già molto evoluti, ma le possibilità di miglioramento ci sono. Con la Concept8 abbiamo fatto una scelta coraggiosa che ci introduce ad un nuovo concetto di roubaisienne, che speriamo ci accompagni per i prossimi anni. La differenza con prodotti presentati in passato, sempre in 8 sezioni, da altre Aziende, è che la Concept8 è un progetto che nasce con una geometria nuova, pensata in 8 parti e non in 9. Non è la sola sostituzione di cima e portacima con un vettone unico, é proprio una idea diversa. Sembra una distinzione sottile ma in realtà è rilevante. La Concept8 come idea nasce, sin dalla progettazione della base, per essere assemblata con sole 8 sezioni ed ognuna di queste è realizzata con una geometria pensata per questa esigenza…”
In conclusione, Stefano, qual’è il vantaggio di avere una canna in 8 pezzi anziché 9…
“Innanzitutto il profilo della canna, nel suo complesso, ha uno scalino in meno perché c’é un innesto in meno. Questa cosa mi consente di avere maggior agio in fase di realizzazione del profilo dei vari pezzi, segnatamente quelli centrali. Dobbiamo considerare che, partendo da diametri contenuti di partenza della base, per arrivare al diametro finale della punta della vetta, circa 3 mm, lo spazio di manovra è piuttosto contenuto, meno di 40 mm in 13 metri, e poiché ogni sezione deve potersi riporre in quella maggiore quando viene smontata la canna, ecco che, alla fine, i diametri iniziali e finali di canne in 9 sezioni diventano quasi sempre molto similari, indipendentemente dalla loro marca, e spesso anche le azioni finiscono per assomigliarsi. Eliminando uno scalino, un innesto, soprattutto nella zona centrale della canna, si possono ideare sezioni con misure differenti dei diametri di testa e di coda, con lunghezze differenti e, di conseguenza, con azioni differenti determinate non dalla presenza di un semplice vettone ma dal lavoro di sezioni centrali differenti come concezione. Non è una differenza da poco. La Concept8 ha nel proprio nome, “concetto8”, l’essenza del cambiamento, dell’innovazione. E per il progettista è una bella sfida, ti assicuro!”
Ora capisco quando prima mi dicevi che la Concept8 è un nuovo punto di partenza… Hai già in mente gli scenari futuri di questo progetto?
“Stiamo già lavorando in visione 2014, con alcune idee ancora in fase di definizione. Ci tengo però a precisare che la linea tradizionale, che ha dato tante soddisfazioni al marchio Tubertini, non sarà abbandonata ma sarà affiancata dalla Concept.”
Una domanda sulla bocca di tutti gli appassionati: Cina o Italia nel futuro delle canne da pesca?
“La Concept8 è una canna completamente italiana, pensata e realizzata da italiani. Orgogliosamente italiani. Dipendesse da me direi “Italia” per tutta la vita!
Purtroppo la globalizzazione ci ha portato a questo e con questo bisogna fare i conti. Oggi potremmo fare tutta la produzione in Italia, se l’indotto fosse rimasto integro come anni fa. Purtroppo anche l’indotto è stato costretto a spostarsi, per cause di forza maggiore come i costi, che in Cina sono imparagonabili con i nostri. Prevedo comunque che questo processo non potrà durare all’infinito, perché anche in quei paesi le condizioni arriveranno a cambiare e la manodopera aumenterà di costo, diminuendo il divario con noi. Purtroppo saranno tempi comunque lunghi e nel frattempo… Ci sono comunque articoli che non è conveniente produrre in Cina, articoli di alta fascia. Le roubaisienne di alto livello ne sono un esempio.”
Ho voluto concludere questa lunga intervista con alcune opinioni di Ferruccio Gabba, il grande campione e uomo immagine Tubertini; con lui ho tracciato un breve resoconto del progetto Concept anche dal punto di vista commerciale oltre che tecnico.
“Commercialmente, come ti ha anticipato Stefano, il progetto Concept sta andando veramente molto bene, anche meglio di quanto ci aspettassimo. Essendo un articolo nuovo, indubbiamente di altissima fascia, alla luce anche della attuale situazione economica italiana, abbiamo cercato di essere cauti nella produzione iniziale.
Anche il fatto che, per la prima volta dopo circa dieci anni, questa canna non fosse possibile acquistarla al 5° pezzo per abbinarvi i kit posseduti in precedenza, come in tutti i modelli EVOLA, ma dovesse essere assemblata ex novo del tutto, con i kit appositamente studiati per lei, ci faceva temere che potesse non essere troppo appetibile dal grande pubblico, almeno non subito, visti i costi sicuramente differenti dal trend degli ultimi anni.
Fortunatamente, a livello commerciale, i nostri kit usati sono molto ricercati, quindi gli interessati alla nuova Concept, vendendo tutto il corredo di canna e kit in loro possesso hanno potuto realizzare ottime cifre, importanti per attrezzarsi con il nuovo modello ed un discreto numero iniziale di nuovi kit.”
Ad oggi come sta andando il grafico delle vendite della Concept8?
“Ti confermo che il primo lotto è stato letteralmente “bruciato” in due settimane al momento della presentazione, a novembre. Alla scadenza di Natale in magazzino sono terminate le canne della seconda fornitura ed oggi, a metà di gennaio, stiamo ricevendo la terza tranche dal produttore italiano. L’importanza di avere un fornitore italiano, oltre che sulla qualità del prodotto, si apprezza anche in questi particolari determinanti: la possibilità di riassortire in tempi brevi e nei quantitativi richiesti. Con produzioni estere questo diventa pressoché impossibile, sia per i numeri necessari che per i tempi di consegna, che si dilatano a dismisura.”
E sul fronte “rotture” la Concept ha creato problemi di assistenza?
“Quando si propone un modello nuovo, con queste caratteristiche tecnologiche, qualche timore iniziale c’è sempre, perché al di là dei controlli e delle prove che si fanno, è solo la commercializzazione che ti fornisce il dato definitivo sulla affidabilità. Ad oggi, debbo confermare che i timori erano infondati, per fortuna, e tutto si sta mantenendo nella normale percentuale.”
Il successo della Concept8 ha in qualche modo penalizzato l’andamento commerciale della top di gamma 2013, l’ EVOLA 9500?
“La 9500 è la canna che, numericamente, è tutt’ora la più venduta della gamma 2013 di Tubertini. Su di lei, come logico, erano state fatte le stime di vendita secondo i trend aziendali per questo segmento di vertice e i risultati, sino ad oggi, si stanno confermando in linea con le previsioni fatte, considerando i numeri di vendite, abbastanza stabili, che l’azienda realizza ogni anno con questa tipologia di canne top di gamma. Diciamo che la Concept8 è stata una piacevolissima sorpresa, sia tecnica che commerciale!”
Una previsione per il futuro prossimo delle roubaisienne Tubertini?
“Naturalmente stiamo facendo ancora delle considerazioni, ma visto il generale consenso riscosso dalla Concept, ritengo di poter anticipare con buon margine di sicurezza che la prossima produzione sarà impostata sempre più su questo tipo di mandrinatura e con questa filosofia costruttiva. Partendo da qui stiamo già verificando che si possono ottenere prodotti di livello mediamente superiore, probabilmente riuscendo a contenere anche un po’ i costi. Se consideriamo, ad esempio, che il “muletto” della Concept8 potrebbe benissimo figurare tra le canne di fascia medio/alta al costo di una buona canna da carpe, si può intuire come si stiamo aprendo scenari favorevoli in questo settore. Ma è ancora un po’ presto per parlarne…”