Un giorno speciale …fortunatamente per noi, come tanti altri.
Fino a tutto Giovedì è piovuto e anche questo weekend non sembra promettere niente di buono. In programma c’è l’Italica Day Umbria ad Umbertide e da quanto ho potuto capire se continua questo tempaccio ci toccherà Faldo con le sue acque cristalline. Per me è sempre stata una forzatura pescare nell’acqua immobile o leggermente mossa di un bacino.
Non c’è nulla da fare, non mi ci diverto proprio e se non fosse per la compagnia non ci andrei sicuramente. Ma ci saranno Checco, Franco, Michele, i ragazzi del Team Folgore, il Gatto e tutti gli altri che mi aspettano.
Deciso. Se il Tevere sarà in piena farò lo stesso i 300 e passa km necessari ad incontrarli tutti. I pesci potranno latitare ma gli amici ci saranno di sicuro. Più vado avanti con gli anni e più queste cose diventano decisive nella scelta del luogo dove praticare la mia passione. Penso infatti che condividere una passione valga molto di più che praticarla.
C’è la stessa differenza tra il parlare da soli o raccontare una bella storia a chi è sulla tua stessa lunghezza d’onda. Dove un accenno della voce più marcato fa la differenza, dove un sopracciglio arcuato dice molto di più di un discorso filato. Quindi anche oggi il rito si ripeterà immutabile. L’alzataccia a notte fonda. L’acqua fresca del lavandino. L’aroma del caffè che lentamente si impossessa della cucina illuminata dalla flebile lucina della cappa.
Gli attrezzi riposti con cura nella macchina e i sacchetti dei bigattini appesi allo specchietto retrovisore. Le pupille sulla linea di mezzeria e la mente a vagare altrove. Spesso a sognare di pesci enormi e di elastici che si allungano. E poi queste albe spettacolari che spaventano da quanto sono belle e sempre diverse l’una dall’altra. Il volto un po’ assonnato del casellante e la ricerca del parcheggio più vicino al ritrovo.
La chiave che gira. Il motore che si spenge e, nello stesso preciso istante, questo strano fremito che percorre tutto il corpo. Mi ha sempre fatto questo effetto il raduno mattutino. Sarà per la spasmodica attesa o per la contentezza di incontrare degli amici veri ma è sempre stato così e, sono anche convinto, che se un giorno non proverò più tutto ciò, sarà ineluttabilmente arrivato il momento di smettere.
Di dedicarsi ad altro. Appena metto fuori il naso dall’auto mi sento strattonare. Se non sapessi dove mi trovo sarei propenso a pensare ad un tentativo di furto, ad uno scippo in piena regola. Invece è soltanto il mio compagno di squadra Gianni, che mi vuole far prendere uno spavento. Fa nulla … ormai ci sono abituato alle sue mosse da mattacchione. Un abbraccio e si va. Il gruppo di persone al quale mi avvicino è intento a confrontarsi in un’animata discussione. Ci sono novità nell’aria e quella dell’ultim’ora dice che si potrà scegliere dove gareggiare al momento di pagare l’iscrizione. Bella ‘sta cosa!
Il Tevere è chiaro ma altissimo e gli organizzatori hanno pensato bene di far decidere a chi dovrà pescarci. Non ci penso che un secondo e sono già di fronte al tavolino dell’organizzazione. Vengo in Umbria per pescare nel Tevere quindi… Poco distante intravedo Milena e non faccio a tempo ad alzare la mano in segno di saluto che Romano la scarta di fianco e mi si butta al collo. Sono veramente contento di rivederlo e la luce negli occhi del mio amico sanmarinese mi dice che anche Lui prova la stessa cosa. Poco distante riconosco il volto di Domenico.
La nostra amicizia è nata su Facebook ma è la prima volta che ci incontriamo di persona. Come vecchi amici ci salutiamo ed è bello che in questi casi non servano preamboli, discorsi astrusi e impacciati. In fondo siamo sempre stati nello stesso ambiente. Stretta di mano vigorosa; “ciao Domenico, che piacere conoscerti di persona”. In quella mezz’ora di attesa le pacche sulle spalle e le risate si sprecano. In modo malizioso mi viene da pensare che molti si stampino quel sorrisino sulla faccia con l’unico intento di stemperare la tensione pre-gara. Succedeva anche a me fino ad un po’ di tempo fa.
Poi sono cambiato. Preparo la gara come sempre. Faccio le cose con la solita minuziosità ma Il risultato non è più in cima alle mie priorità. Se questo ci sarà meglio. Ma io questo mondo me lo voglio gustare fino in fondo e non sarà di certo la ricerca spasmodica del piazzamento a togliermi il godimento di fare la cosa che mi piace di più. Hanno picchettato il “Campo Sportivo” ed io sono stato sorteggiato nel centrale dei tre settori. Appena scendo sull’alveo del fiume non posso fare a meno di notare i danni che l’ultima piena ha fatto. Sandro Zucchini, smuovendo mari e monti, ci rimetterà come sempre una pezza e sono certo che a primavera tutto sarà al suo posto. Picchetto B6.
Sponda pulita, aria fresca, cielo terso e acqua chiara. Sembra un idillio ma appena Franco, che mi ha preso a bordo per il viaggio, ferma la sua Toyota non posso credere ai miei occhi. Il fiume corre all’impazzata. L’acqua va si da 2 grammi ma… a tiro della 2 metri ! Il mio amico è capitato un po’ più in alto e, prima di dirigersi verso il posto a lui assegnato, mi aiuta a scaricare tutta l’attrezzatura. Poi apro e sistemo il mio inseparabile Rive. Preparo le pedane, i piatti esche, i contenitori grandi e piccini. Rastrelliera, guadino e Cupping kit. Tiro fuori i contenitori delle colle e poi quelli col brecciolino… tanto brecciolino.
Monto le punte ma non ho il coraggio di agganciare una lenza. Alla mia destra vedo gente con delle vele come dischi volanti e a sinistra dei Cralussoni che una volta in pesca lasciano a valle due scie da aliscafo a 30 nodi. Che fare? Manca ancora molto al via e decido di aspettare ancora un po’. Passa lo Zucchini e dice che l’acqua da stamattina è calata altri 7/8 cm ma per me è un bluff. Appena arrivato ho messo un paletto a filo acqua e niente è cambiato. Mi concentro sui bigatti. Dei 2 kg e ½ qualcosa mi spinge ad incollarne non più di 700 gr. Apro la cassetta con le vele Casini.
Con la faccia un po’ schifata e quasi voltandomi dall’altra parte prelievo un 6 grammi ed il pensiero che una simile piattella sia destinata a pesci dal palato fine come i cavedani mi fa rabbrividire. Il fondo dovrebbe aggirarsi sui 2 mt e ½ o poco più. Lenza su 4 pezzi e faccio penzolare una sondetta media prima di immergerla nella forte corrente. Ma porta via anche quella! Non faccio a tempo a toccare il fondo che la linea è già tutta di traverso. Il fondo va bene e quindi provo la passata. Allora…appurato che fermi non ci si sta, proviamo ad accompagnare. Macché, tutto inutile. Alla minima trattenuta va tutto “per aria”. Non tanto convinto monto anche un 8 gr ma non è che questa cosa mi ispiri molto.
E ora? Se non fosse per la mole decisamente diversa sembro Valentino Rossi accovacciato accanto alla sua moto prima del via. Solo che Lui in quel modo si concentra ed io invece, davanti al mio panchetto pieno di lenze, non so cosa fare. Lo sguardo si sposta all’acqua. Mi ricorda qualcosa. E’ veloce come…come…come il Mincio. Dai Stefano prova. Prelievo una linea con un Freccia da 1 gr. Poi un’altra con uno da 1 e ½ e poi una con un 2 gr e, senza pensarci su, le attacco agli apicali. C’è ancora tempo e …. una banda lunga ci vuole sempre ad Umbertide; 3 gr andrà più che bene. Poi nel delirio più totale mi si intasa la vena e anche una punta montata con un Freccia da 0,75 va a fare compagnia alle altre.
Sono pronto e proprio in quel momento esatto sento il segnale che da il via alla pasturazione pesante. Per ora solo colla poi si vedrà. Si comincia. Prendo l’otto grammi e vado. Una, due, tre passate e lo sconforto mi assale. Ogni passata vedo partenze repentine ma sono …. solo foglie. Anche con tutta quella corrente il fondo ne è tappezzato. Passano dieci minuti ed il concorrente a valle ferra deciso. Vedo quello che mi sembra uno Shark da 6 gr immobile nella forte corrente. “Mamma mia che pesce!”, mi fa il Tizio. Anche se il vela io lo vedo fermo è la prospettiva a fregarmi. Il pesce vai in giù ed io non me ne ero accorto. Però l’elastico è fuori, si e no, di un paio di metri e poco dopo scopro il perché.
Alla classica domanda :“sei armato bene?” lui mi risponde: “finale discreto e l’uno doppio come elastico”. Passano un paio di minuti e la tensione si allenta. Qualcosa di enorme e lucente crea un gorgo di un metro quadro ad una decina di metri da riva. “Maremma budella che cavedano!”. Il generoso ammortizzatore ha fatto egregiamente il suo dovere ed il grosso ciprinide ormai domo si lascia docilmente portare a tiro di guadino. Zack. Dentro. “Qui si va sul Kilo e ½” si lascia sfuggire “Arfio”. Arfio (toscanizzazione del nome Alfio) è il benevolo nomignolo che sono solito appioppare a chi mi è di fianco durante la gara. Mi piace il nome Arfio. Sa di cose semplici e schiette.
Quelle che piacciono a me. Proprio in quel momento sento poco distante la voce di Francesco che con la macchina fotografica, avuta in prestito da Mauro, sta immortalando tutti. “Checcooooooo.” Gli urlo “Vieni a vedere che pescione e uscito qui sotto”. Col suo andare inconfondibile e un po’ dinoccolato si avvicina e si rallegra della cattura col mitico Arfio. Dopo la foto il mio amico si avvicina e, fra il serio ed il faceto, mi scappa un: “Maremma diavola e ora icchè si fa?”. Il fondale è pieno di foglie e oltre a rendere impossibile un minimo appoggio del terminale è presumibile che nasconda ai pesci i bigatti incollati. “Falli muovere ‘sti pesci”. Checco è di poche parole ma non importa che mi dica altro.
Credo di aver capito. Prendo il grammo e mezzo al quale ho dato un leggero appoggio di 10 cm. Stendo piombi a monte e lascio correre. Fionda in mano e vai come ai vecchi tempi. Fiondo bigatti sfusi molto, ma molto a monte. Il galleggio fa un metro e si inabissa…foglia. Ri-lancio e ri-foglia. Tolgo 5 cm e anche se va un po’ meglio dopo due passate riattacco del fogliame. Tolgo ancora due cm e … passata liscia come sull’olio. Ora viene il bello. Continuando a fiondare anche due volte prima di ogni passata comincio a studiare “i modi” ed “i tempi” della passata. Chi ha pescato i cavedani sa cosa voglio dire. Succede tutto in 20 secondi e quindi è facile memorizzare.
Quando la passata è più lunga e lenta è più difficoltoso. Il Freccia segue i piombi a monte, entra in pesca, sulla perpendicolare va in taratura perfetta, affoga appena, canna alta, leggera trattenutina, hot spot di un metro, ultimo rilascio, fionda in mano e si ricomincia. Si rilancia e si memorizza il percorso, Uno, due, tre volte. Il galleggio segue i piombi a monte, entra in pesca, va in taratura perfetta, affoga appena, canna alta, leggera trattenutina, hot spot di un metro, ultimo rilascio e leggero balzello! Leggero balzello? Ferrata decisa e mi sembra di aver attaccato sul fondo.
Mi sembra! Il Freccia è fuori dall’acqua di 20 cm e per un paio di secondi pare che di colpo l’Universo che mi gravita attorno si fermi. Poi comincia la rumba. L’elastico dell’uno su tre pezzi parte come un razzo. Le potenti testate del pesce non danno tregua e, unite alla forza della corrente, tolgono ogni possibilità di risposta della mia Italica di 13 mt. Cerco di alzare la canna per vedere di fare qualcosa. L’elastico è tutto nell’acqua ed è quasi a fine corsa. E’ già passato più di un minuto ma il cavedano, perché so che è un cavedano, ha preso il largo e continua a “pretendere” elastico. Il nove sta per cedere, lo percepisco, lo sento. Fine corsa. Tutto torna indietro. Terminale strappato. Qualcosa però riluce controsole. E’ l’amo che si è aperto come succede spesso quando si pizzicano i cavedani “sul muso”.
Con il fremito nelle mani cambio il finale. Fionda, fionda, fionda cercando di recuperare i minuti persi. Passa mezz’ora e tutto sembra sospeso. Le passate, una uguale all’altra, si susseguono. A dire la verità un’accelerata l’ho vista, ma non ho “reagito” come dovevo. Bigatto sano…chissà. Mi alleggerisco passando al Freccia da un grammo. Siamo quasi a metà gara e provo anche a forzare la pasturazione. Due palle di incollato a mano seguite dalla solita serie di piccole fiondate. Appena sulla perpendicolare invece di andare in taratura il Freccia si stara. Sembra che qualcuno, sotto la superficie dell’acqua, abbia usato le forbici per tagliare di netto la lenza. Boing. Pronta ferrata e solita musica.
Metro dopo metro i pesce si allontana ed io alzo la canna nella speranza di frenarne l’incedere. Per un paio di minuti sono in apnea. Oltre che al largo ora il pesce si lascia anche trasportare a valle dall’enorme massa d’acqua. Il recupero, adesso, è pura utopia. Passano i minuti e nulla cambia. Provo la mossa di allentare la pressione abbassando la canna fino a toccare l’acqua. I 7 metri abbondanti di elastico si immergono completamente ed avviene il miracolo. Non avvertendo più quella forte pressione il pesce si mette a risalire la corrente e, anche se molto al largo, mi passa davanti. E’ fatta. Sempre con la canna bassa sfilo dalla roubaisienne un paio di pezzi, riporto la canna in verticale e forzo. Una bocca grande come un mandarino sbuca dalla superfice del Tevere. Il grosso cavedano non ha più banane e con cautela lo guido all’imboccatura del mio guadino. Tiro indietro la canna ed il manico ed infilo la mano dentro il guadino.
Vado in leggera difficoltà perché il cavedano è talmente grosso che non ce la faccio ad agguantarlo. Poi cautamente lo slamo, lo deposito dentro alla nassa e respiro. Dopo la lunga apnea finalmente respiro. La gara va avanti. In seguito allamo, combatto e metto in nassa altri due pesci che con il primo portano l’ago della bilancia a fermarsi a 4020 gr per un 1° di settore da tramandare ai posteri. Tutti i pesci passano il kilogrammo con il primo che lo passa di 6 etti abbondanti. E pensare che … il galleggiante non è mai partito. Negli altri settori sono stati catturati pochi pesci e quindi devo ritenermi molto fortunato. Era diverso tempo che non facevo una pescata così e, anche se per me questo sport non è mai stata una questione di catture o di risultati, oggi mi sono veramente divertito.
Come sempre è stata un’esperienza a 360° dove il fatto tecnico ha fatto solo da contorno a mille altri aspetti che solo una passione vissuta a pieno ci può far provare. Credo fermamente che il rito della pesca contenga in se aspetti primitivi difficilmente catalogabili con dei freddi termini. La pesca è nel DNA della razza umana ed è anche per questo che ogni volta che pratichiamo questa attività sia come ritornare di colpo bambini. Diceva il mio caro Babbo: “Ai mi’ figliolo gli piace baloccarsi co’ pesci ma ora questa passione me l’ha attaccata anche a me”. Non c’è niente da fare e non c’è nulla di male a sentirsi ardere dentro questo strano fuoco. Se poi come pensavano gli Assiri: “Gli dei non sottrarranno agli anni di vita concessi agli uomini il tempo passato a pescare”(*) noi ne saremo contenti e sfrutteremo quel tempo per ritornare sul fiume a praticare quella passione che ci scalda ogni volta il cuore.
Stefano Falciani
(*) Tradotto da una Tavoletta Assira risalente al 2000 a.c.
Cerisoli Alessandro, il mitico “Arfio” del racconto
Bandinelli Daniele
Matè Berardo
Frediani Giovanni