A PESCA NELLE TERRE DELLA GRANDE GUERRA

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Dal nostro miglior corrispondente INPS estivo, un articolo di pesca e struggente memoria…

 

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Dal 2011, anno del mio pensionamento, trascorro i mesi estivi in uno dei luoghi più belli ed incantevoli del mondo, le Dolomiti (non per nulla l’UNESCO le ha decretate patrimonio dell’umanità), più precisamente a Corvara, nell’Alta Val Badia e cuore dell’Alto Adige.

Scoprii, insieme a mia moglie Patrizia, questo incantevole luogo nell’ormai lontano 1994 durante una “settimana bianca” e ce ne innamorammo al punto di tornarci ogni anno, sia in inverno che in estate.

Logicamente allora gli impegni di lavoro e famigliari non ci permettevano lunghi soggiorni ed il momento del ritorno a casa arrivava sempre troppo presto. Così ci facemmo una promessa: “quando saremo in pensione, salute permettendo, verremo qua per diversi mesi all’anno!

Come si sà le promesse vanno mantenute (poi quando c’è di mezzo la Signora ancor di più!) e quindi eccomi qua anche quest’anno a trascorrere tanti, tanti giorni in questa meravigliosa parte della nostra bella Italia, da me adottata come seconda dimora.

Interminabili escursioni e lunghe camminate che portano a panorami di incomparabile bellezza, prati ricoperti di fiori e di un verde eccessivo, torrenti e laghi bellissimi dove pescare, boschi infiniti dove ricercare funghi e sua maestà il re porcino… questi sono i miei “sacrifici” giornalieri.

Quelli serali invece, date le mie ormai tante primavere, sono per forza di cose molto meno numerosi ma non per questo meno gratificanti anzi…

A farla da padrone sicuramente il piacere di gustare le specialità della cucina locale e tipicamente Ladina:  cosa c’è di più bello di una cena con gli amici in una accogliente e calda “stube”?

Lo so, questa è una vita molto “dura” e per questo spero duri ancora per tanti anni.

Mi rendo conto di essere, forse, un “privilegiato” ma credo anche che questa sia la giusta ricompensa di oltre 50 anni di lavoro e di una vita onesta e questo mi fà stare ancora meglio.

Bando alle chiacchiere, è ora di andare a pesca.

La mia prima uscita l’ho dedicata alle magnifiche trote iridee (comunemente dette “salmonate”) che vivono nelle limpidissime acque del lago Fedaia (acque gestite magnificamente dalla Associazione Pescatori Valle di Fassa ) a 2054 mt. di quota, ai piedi del ghiacciaio della Marmolada.

 

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Quest’anno, mi diceva Mirko un tecnico dell’ENEL che lavora alla diga e del quale con il passare degli anni sono diventato amico, l’inverno è stato particolarmente duro, le strade sono state chiuse per molti giorni a causa delle abbondanti nevicate e loro stessi per poter sorvegliare la diga e gli impianti venivano portati al lavoro con un elicottero, che a sua volta è rimasto bloccato per alcuni giorni sulla diga a causa del mal tempo e del fortissimo vento; per questo, mi diceva, quest’anno il lago si è completamente sghiacciato solo dopo il 10 di giugno.

Essendo quel giorno il 3 di luglio, molto probabilmente io ero il primo pescatore ad immergere le lenze in queste acque e il fatto mi faceva ben sperare.

Al bar “DIGA”, dove si fa il permesso di pesca, ho ritrovato la nonna Maria (nome di fantasia), suo nipote e la sua ragazza, i quali da anni gestiscono questo locale tradizionalmente meta di migliaia di turisti in visita al ghiacciaio. Oramai sono di casa anche qui ed al mio arrivo l’accoglienza riservatami è stata molto calorosa. Dopo i convenevoli di rito ed aver fatto colazione con lo Strudel appena sfornato dalla stube della nonna, mi dicono: “Vuoi fare, per caso, il permesso di pesca?”

 

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“Che domande … Certo, è un anno che lo aspetto!”

 

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Avuto l’agognato permesso (18 euro, due in più rispetto all’anno precedente ma ci sta, vista la qualità dei pesci ) sono sceso al lago; la mia discesa è durata però pochi passi, infatti il lago era altissimo e della sponda rimanevano all’asciutto pochi centimetri a disposizione per i miei piedi.

 

 

La pesca sul Fedaia

Qui la tecnica più redditizia, negli anni passati, è sempre stata la pesca all’inglese (tipo Ostellato per intenderci) con galleggiante da 30 gr. e via pedalare ad oltre 70 mt.da riva.

Così anche quel giorno ho preparato due inglesi ed innescando una camola del miele con un metro e mezzo di profondità ho iniziato a pescare verso il centro del lago, dove appunto le iridee già bollavano.

Ad ogni lancio, con ammirazione, accompagnavo con lo sguardo il galleggiante che in cielo disegnava la sua parabola scendendo verso l’acqua, con alle spalle il magnifico scenario del ghiacciaio. Dietro le mie spalle, di tanto in tanto, si udivano i fischi striduli delle marmotte fare da sottofondo ai campanacci delle mucche al pascolo…

Cosa dire? Nulla, se non respirare a pieni polmoni tutto ciò che mi circondava.

Non sono certamente nuovo a questi scenari ma ogni volta non riesco a non emozionarmi. Così preso da questa magica atmosfera l’astina rossa del fischione quasi finiva per me in secondo piano, fino a quando, dopo un dolce invito, l’ho vista sparire verso il fondo. Ho aspettato alcuni secondi prima di ferrare (diversamente la “padella” è garantita) e una regina di queste acque ,con tre ripetuti salti fuori dall’acqua, ha iniziato il suo combattimento a lunga distanza, poi proseguito con ripetute fughe e fulminee ripartenze alla vista del guadino e nuovamente con una serie di salti, nel tentativo di liberarsi del subdolo uncino fino a quando, stremata, ha dovuto “accomodarsi” nella, per lei scomoda, rete del guadino.

 

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La prima trota della stagione in terra Ladina era venuta a trovarmi.

 

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La combattività di questi pesci è veramente estrema e con i loro balzi poderosi fuori dall’acqua mettono a dura prova il sottile fluorocarbon del finale.

Il colore della schiena di queste iridee è uguale all’azzurro del lago, il loro mimetismo le porta ad assumere lo stesso colore dell’acqua in cui nuotano, sono veramente diverse dalle loro consorelle pescate in altri contesti, assolutamente meravigliose. La cattura và immediatamente registrata sulla scheda allegata al permesso prima di riprendere nuovamente la pesca.

In breve tempo sono 3 le trote che catturo delle 5 possibili.

 

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Mentre pesco mi distraggo anche a guardare nel sottoriva, dove centinaia di piccoli vaironi nuotano guardinghi (appartenere alla specie “pesce foraggio” non è molto rassicurante in questi luoghi); infatti, poco prima, una iridea stimata oltre il metro era in caccia nelle vicinanze…

Dietro di me una voce dall’accento inequivocabile mi dice “Buon ciorno …”, mi giro e vedo un Guardia Pesca in perfetta divisa con scarponi, cappello e binocolo che con austera professionalità mi domanda.”Come và? Si pesca qualche cosa?

Mi sto divertendo – rispondo – ne ho prese tre.”

Dopo averle controllate e verificato che le avessi segnate sulla scheda, mi ha salutato ed ha proseguito il suo lavoro di perlustrazione.

Anche io l’ho salutato, ringraziandolo per il suo prezioso lavoro. Da quanto tempo non avevo avuto il piacere di incontrare un Guardia Pesca vero!!!! Da noi ormai lungo i fiumi ed i laghi sono diventata merce rara più di un pesce autoctono.

Dopo aver preso altre due irideee e contento per la quota raggiunta, per la magnifica giornata trascorsa e già pregustando la cena con questi ottimi salmonidi cucinati al forno, ho ripreso la strada per tornare a casa.

 

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Per tornare a Corvara debbo passare per Livinallongo poi per Arabba.

Poco prima di Livinallongo la strada si inerpica per raggiungere la Statale delle Dolomiti e poco dopo aver oltrepassato il torrente Cordevole si incontra una piccolissima località denominata Pian dei Salesei.

 

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Qui vi è, immerso nella pace e nel silenzio più assoluto, con sullo sfondo il Col di Lana da un lato e dall’altro il maestoso Civetta, un Sacrario dove riposano oltre 5400 caduti della Grande Guerra.

 

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Anche mio nonno materno Adolfo combatté in quella guerra su queste montagne ma lui fu più fortunato e riuscì a tornare a casa (diversamente io non sarei nato) e a meritarsi, anche se per pochi anni, il Titolo di Cavaliere di Vittorio Veneto con relativa ridicola pensione di poche lire (infatti questo riconoscimento fu dato solo quando i pochi reduci avevano superato abbondantemente gli 80 anni e quindi pochissimi ancora al mondo. Cose tipiche dei governi italiani: tanta retorica, poca sostanza e rispetto zero.)

Ricordando quando da bambino ascoltavo i suoi racconti di guerra di trincea e delle terribili cose vissute da quei “ragazzi”, ho sentito forte il desiderio di fermarmi e di fare loro visita.

Come si vede dalle foto, il Sacrario è a forma di croce nel perimetro della quale, da ambo i lati, ci sono le tombe, in ordine alfabetico per cognome o solo per nome, di 723 caduti di cui 19 appartenenti all’esercito Austro-Ungarico.

 

 

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La morte non fa distinzione fra le divise ed ora riposano insieme ad altri 4700 ignoti.

 

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Appena entrato mi ha colpito la “bellezza “del luogo, il suo silenzio, il rispetto che incute e lì la mia mente ha cominciato a riflettere, ad immedesimarmi in quelle storie, storie di migliaia di ragazzi strappati alle loro famiglie, ai loro cari, a mogli, figli, fratelli, ai loro pacifici lavori.

 

 

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Molti erano semplici contadini come mio nonno Adolfo, contadino in un paese dell’appennino Emiliano, che avrebbe visto alcuni anni dopo altri tremendi orrori come Marzabotto, e che un brutto giorno si vide recapitare una gialla cartolina….

Una cartolina precetto molto simile, nel significato, ad un biglietto per un viaggio ma per tantissimi purtroppo di sola andata…

Mi sono ritornati in mente i racconti che da bambino ascoltavo dalla sua voce e che non dimenticherò mai. Era impegnato sul fronte del Col Di Lana (poi soprannominato Col Di Sangue ) ed era adibito al servizio di “porta feriti”, sarebbe stato più giusto chiamarlo “porta morti” ma tant’è…

Aveva pitturata sull’elmetto una vistosa croce rossa ed in altrettante bende alle braccia; “protetto”, si fà per dire, da questi simboli, insieme ad altri suoi commilitoni adibiti a quel “servizio”, sfidava i cecchini per recuperare i corpi dei compagni caduti a pochi metri dalle trincee nemiche, ad una distanza tale che alle volte gli sguardi si incrociavano e lui ripetutamente indicava le fasce che aveva alle braccia e sull’elmetto con il simbolo della croce rossa, sperando che anche quella volta gli lasciassero recuperare il ferito o il più delle volte il morto. Gli andò sempre bene, anche se alcune volte i cecchini magari perché il recupero andava per loro troppo per le lunghe o per divertirsi, gli spararono diversi colpi fra le gambe o vicino ai piedi, quasi a dire: “Adesso basta, muoviti!”

Viene la pelle d’oca solo a pensarci ma questo è nulla rispetto a quello che mi raccontava sul tentativo di conquista del Col Di Lana, punto strategico sulla via per liberare Trento. il Comando Italiano mandò all’assalto, sotto il fuoco delle micidiali mitragliatrici Austro Ungariche, al grido di “Avanti Savoia”, 12 battaglioni di fanteria e 14 di Alpini. Fu un massacro che durò alcuni mesi e che costò 8000 morti (messi in fila uno ogni metro sono una fila di 8 Km. Pazzesco!)

 

Mi diceva nonno Adolfo che ogni giorno salivano dal fondovalle, a bordo di fumanti tradotte, centinaia e centinaia di nuove reclute e che si sentiva del nuovo arrivo per i loro canti e cori. Inconsapevoli del loro destino già segnato, cantavano per farsi coraggio ma soprattutto perché gli veniva data tanta, tanta grappa durante il viaggio verso la morte. Il nonno mi diceva che loro “anziani” sapevano che il giorno dopo di tutti quei ragazzi, dai mille dialetti diversi, non se ne sarebbe salvato nessuno. Venivano mandati all’assalto allo scoperto, tanto da costringere gli Austriaci a gridare: “BASTA ITALIANI, BASTA… FERMATEVI” e se qualcuno non se la sentiva, si fermava e provava a tornare indietro, doveva fare i conti con i moschetti dei Carabinieri. Tutto ciò è stato documentato in un bellissimo film di Francesco Rosi degli anni 70: UOMINI CONTRO.

Adesso io ero lì con i miei pensieri, a cent’anni dall’inizio della Grande Guerra, di cui quest’anno ricorre il centenario. Loro riposano. Di molti di Loro c’è solo il nome: Soldato Antonio, Soldato Mario… e, chissà, sicuramente alcuni di loro sono stati raccolti, feriti o morti, da mio nonno Adolfo.

 

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Mi sono sentito a Loro ancora più vicino. A tutti Loro ho rivolto i miei pensieri ed un grazie enorme perché con il loro sacrificio hanno portato all’Italia queste meravigliose terre. Mi sono sentito un po’ in colpa per essere qui in questi luoghi che per Loro hanno significato morire mentre per me, per noi turisti, sono terre di svago, vacanze e… pesca, ed anche per tutto quello che le generazioni che sono venute dopo di Loro non hanno saputo o voluto fare per la nostra Italia, non meritando assolutamente il Loro supremo sacrificio.

 

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Con tanta tristezza nel cuore ma con un sempre maggiore rispetto per tutti caduti, ho lasciato quel posto ed ho ripreso la mia strada, sicuramente con più consapevolezza di ciò che è stata la Grande Guerra e portando con me, per sempre, quello che c’è scritto sulle loro tombe: PRESENTE.

Ricordiamoli e ……ricordiamocelo.

 

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(da www.teambazza.it – Roberto Generali)

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