Giovanni Bottazzi: “La disabilità non mi ha fermato e ora sogno il mondiale di pesca”
Sorbolese, ha perso un braccio a 15 anni ma non ha smesso di pescare. Ha vinto il campionato nazionale ed è stato vice campione del mondo
La passione e l’entusiasmo sono ancora ancora quelli del ragazzino che andava al fiume a pescare insieme allo zio. Oggi il sorbolese Giovanni Bottazzi ha 50 anni, ha vinto tante medaglie, ma è ancora pronto a svegliarsi prima dell’alba e a spendere le ferie per imbracciare la lenza.
Si è appena laureato campione italiano nella categoria per persone con disabilità, ma sta già preparando il prossimo torneo, che lo vedrà impegnato tra qualche giorno. Nel 2012 è arrivato secondo nel Mondiale di pesca, guadagnandosi la medaglia d’argento, vestendo la maglia della Nazionale italiana.
Non è semplice pescare con un braccio solo. Giovanni ha perso il destro all’età di 15 anni, in un infortunio sul lavoro. Un altro incidente, in una notte di capodanno, gli è costato un occhio. Ma non ha mai abbandonato la lenza, anzi buona parte delle gare le disputa nella categoria delle persone “normodotate”, come le definisce. Senza aiuti.
“Pesco fin da ragazzo, così come tanti miei amici. Andavo al fiume insieme a mio zio. Poi l’incidente ha rivoluzionato tutto, ho dovuto abbandonare tante cose che facevo”. Giovanni se la cavava anche sul diamante del baseball, giocando come ricevitore esterno nella squadra locale. “È pazzesco come incidenti di questo tipo ti cambino ogni cosa. Devi praticamente imparare tutto di nuovo, persino a scrivere. Con i miei amici ho continuato ad andare a pescare, ma a un certo punto mi seccava dover dipendere sempre da qualcun altro. Così ho iniziato a costruirmi la mia attrezzatura, perché al tempo non esisteva nulla, per rendermi autonomo”.Stando nel giro, Giovanni si è avvicinato al mondo delle gare. Siamo negli anni tra il 1984-85. “Ho iniziato con qualche competizione per la pesca della trota, insieme ai normodotati, al tempo non esisteva la categoria delle persone diversamente abili, che è nata agli inizi del 2000. Da allora gareggio in quelle competizioni, ma continuo sempre a partecipare alle altre, con buoni risultati.
“La pesca – continua – è una disciplina che ti permette di essere competitivo, anche tra i non disabili. Sono pochi gli sport che lo consentono. Certo è difficile, perché per pescare servono due mani. Per risolvere alcuni problemi mi sono dovuto inventare alcuni attrezzi. Per esempio la fionda. Non si può usare con una mano sola. Così ho realizzato un sistema per cui riesco a lanciarla, senza bisogno di aiuto. Stesso discorso per i nodi, sarebbe impossibile senza avere due mani. Ma grazie a un accessorio che ho costruito riesco a farli quasi tutti”.
La Federazione (Fipsas) consente alle persone con disabilità di avere un supporto durante le competizioni. “In quelle della categoria, quando ci si gioca un mondiale o una medaglia, anch’io mi avvalgo di tutti gli aiuti. Altrimenti, quando partecipo alle altre gare, competo alla pari, senza assistenza”.
Giovanni ogni anno prende parte a manifestazioni regionali, nazionali e internazionali. Ha appena vinto il titolo di campione italiano ed è reduce dal Mondiale in Repubblica Ceca con la Nazionale, ma questa volta non è andata molto bene: “Ci siamo affidati – con lui altri quattro compagni di squadra – a una strategia che non ha pagato. Il primo giorno abbiamo puntato a pescare i pesci più grossi, ma sono finiti molto rapidamente. È stata una gara un po’ opaca. Il secondo ci siamo riscattati, ma avevamo accumulato uno distacco incolmabile”.
Con l’Italia i successi non sono stati pochi. Nel 2012 ha conquistato un bronzo come squadra e un argento nella categoria individuale. Vice campione del mondo. Vincere non è facile. E l’abilità non è tutto. Come avrebbe detto Bud Spencer ci vuole il “QF”, il quoziente fortuna. “Lo scorso anno avevo preso 350 pesci in tre ore, ma ho perso un argento per un grammo” ricorda.
La sorte però può rivelarsi benigna, come per la pesca durante un Mondiale di un barbo di quasi due chili, che è stata una delle imprese più difficili: “Lo attacco con la Roubaisienne – una canna realizzata con materiali ultraleggeri – ma lo aggancio per la coda e comincia a tirare e ad allontanarsi. Praticamente su una canna da undici metri mi sono restati in mano solo pochi centimetri, perché il barbo non veniva più indietro. Alle spalle avevo il mio ct, Franco Bisi, che mi diceva: ‘se lo perdi ti ammazzo’. Io non sapevo nemmeno dove fosse il pesce, che però pian pianino cominciava a venire indietro. Ma quando l’ho sollevato, la canna si è spaccata in tre pezzi. La lenza, insieme al Barbo, è finita in mezzo all’erba. Per prenderlo non potevo far altro che afferrare il filo con la mano e tirarlo. Una fatica. È successo di tutto, ma alla fine è andata bene. Per vincere ci vuole pure fortuna”.
Giovanni veste la casacca azzurra dal 2002, quando partecipò al primo mondiale in Inghilterra, patria d’elezione delle pesca, dove è uno sport professionistico a tutti gli effetti, seguito dalla pay-tv e dove i tornei hanno premi da 40mila sterline. “Per povero che sia uno sport, quando indossi la maglia dell’Italia provi una sensazione che è difficile da descrivere. Mi sento quasi terrorizzato. Nel 2002 vincemmo il bronzo e sul podio, non appena senti suonare l’inno nazionale, è impagabile. Lo considero un grande onore”.
Partecipare alle competizioni richiede sacrifici. Levatacce alla quattro del mattino, centinaia di chilometri per raggiungere le competizioni, spese per le trasferte, per l’attrezzatura, che rappresenta una delle voci più costose. Per alcune canne si possono arrivare a spendere fino a 3.500 euro.
La pesca in Italia, a differenza dell’Inghilterra, non è uno sport professionistico. Giovanni, quando non impugna la canna, lavora in una ditta come certificatore della qualità. “È difficile far quadrare tutto, c’è il lavoro, la famiglia. E non esistono agevolazioni. Per le gare, anche quelle con la Nazionale, si devono usare le ferie, i permessi”.
Bottazzi è impegnato inoltre nel promuovere la disciplina, per avvicinare altre persone con disabilità, in particolare i ragazzi. Una sfida non semplice. “La Federazione ha lavorato tanto in questi anni, si è impegnata per la promozione. Ci sono realtà importanti come il centro Inail a Bologna. A Boretto – dove si è disputato un Mondiale – è stato allestito un campo gare con 400 pedane. Esistono diverse strutture, dove si fatica è nella promozione. Alcune discipline come il basket hanno avuto successo. Purtroppo il nostro è uno sport con scarsa copertura mediatica. Le società spesso non hanno molte risorse da investire. Si discute da sempre su come aumentare i numeri. Ci sono tantissimi disabili, ma pochi che fanno pesca. Sarebbe importante coinvolgerli, per favorire anche il ricambio generazionale. Il lavoro da fare è ancora molto”.
La prossima gara si avvicina. Per Giovanni è tempo d’iniziare a prepararsi. Qualche parola la spende ancora per i più giovani, per chi vuole entrare nel mondo della pesca. “È una disciplina bellissima, che ti permette di stare a contatto con la natura, ti rilassa. Si passa tanto tempo insieme ad altre persone, si vedono posti bellissimi. Non posso che consigliarla, non è detto che si debba necessariamente intraprendere a livello agonistico, che comporta una serie di difficoltà”.
A smettere proprio non ci pensa. Perché c’è ancora un sogno da realizzare: “Vincere con l’Italia un Mondiale a squadre”.