Arno pisano e gatto americano

La prima volta che ho pescato nell’Arno pisano e più precisamente nel tratto conosciuto come Calcinaia Vecchio, è stato in occasione di una selezione del Campionato Italiano e se la memoria non mi inganna, stiamo parlando degli anni 1983/84.

In quel periodo era frequente trovarsi a pesca nei campi di gara pisani e vedere l’acqua cambiare improvvisamente il suo colore, assumendo tinte più o meno sgargianti, in base a quale scarto industriale era stato sversato a monte.

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Se poi a questo si somma la mole enorme di tutti i liquami urbani e agricoli che finivano nelle acque del suo bacino, dalla sorgente al mare, viene facile intuire quanto fosse inquinato il tratto finale dell’Arno.

Eppure, anche in certe condizioni di degrado, i campi di gara pisani erano già allora fra i più apprezzati d’Italia, sia per la quantità che per la qualità del pesce che sapevano regalare al mondo dell’agonismo alieutico.

Nelle gare di quel tempo, la pesca che andava per la maggiore nell’Arno pisano era quella “abbiodolata” e cioè fatta con una canna bolognese di almeno 7 m.; una “bara” di piombo da 25 gr. libero di scorrere sulla lenza e un grosso galleggiante, detto appunto “biodolo”; il tutto lanciato sul centro fiume, avendo cura di dare almeno un paio di metri in più d’acqua, per rimanere ben ancorati con il piombo sul fondo, lasciando alla corrente il compito di mettere in trazione un galleggiante completamente starato.

Quando il pesce, quasi esclusivamente carpe e grossi carassi, attaccava l’esca, la mangiata si manifestava con dei ballonzoli del “biodolo”, al quale seguiva la ferrata.

In pratica, una pesca a fondo (con il galleggiante), vietata dalle normative vigenti, ma……diciamo tollerata, mentre era pura blasfemia parlare di ledgering.

Da quei giorni a oggi, sono passati più di 30 anni e nel frattempo l’Arno, ancor più generoso, è stato eletto a tempio indiscusso dei pesci gatto americani (Ictalurus Punctatus), che lo hanno trasformato in un campo gara unico nel suo genere, con delle caratteristiche proprie tali da richiedere attrezzature specifiche e strategie improponibili in qualsiasi altra realtà agonistica, sia per quanto riguarda la pesca al colpo, sia per il feeder fishing: la tecnica che appassiona me e, spero, i nostri lettori.

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Tanto per partire con il piede giusto, chiariamo subito che l’Arno pisano è un fiume pieno zeppo di pesce e non solo di “gatti”, tant’è che quest’ultimi si muovono quando l’acqua si scalda, mentre nel periodo che va dagli inizi di dicembre alla fine di marzo, si possono avere grandi soddisfazioni, sia con lo “specialist” alla carpa che con altre strategie più light, mirate ai grossi carassi presenti e delle breme davvero interessanti.

Quando però le temperature si alzano e i channel catfish iniziano a muoversi in massa, la pesca, soprattutto in gara, diventa pressoché monotematica e salvo rare eccezioni, difficilmente riusciremo a cavarcela senza l’aiuto di quelli che noi ormai chiamiamo impropriamente clarius, ma allo stesso tempo, in loro presenza, sarà improbabile riuscire a selezionare specie diverse poiché, oltre a divorare qualsiasi esca, sono anche molto aggressivi e una volta entrati in pastura, difficilmente lasceranno spazio ad altri pesci.

La tecnica

A questo punto, dato che siamo nel pieno della stagione calda e i “gatti” saranno una costante per tutta la stagione agonistica, vediamo come possiamo affrontare al meglio una gara nell’Arno per mettere in nassa più pesce degli avversari.

Premesso che se la pasturazione è importante ovunque, nell’Arno pisano è molto più importante di tutti gli altri “ovunque” e tanto per dare una misura di paragone, nella pesca al colpo si tengono i pesci sotto canna pasturando al ritmo costante di una palla ogni 20 secondi…..anche mentre si recupera una preda.

È abbastanza chiaro come nella pesca con il feeder tutto questo sia impossibile, se non altro perché la pasturazione è consentita solo per mezzo della stessa canna con la quale si pesca.

Tuttavia, proprio per sopperire a tali carenze, è di fondamentale importanza conoscere bene la dinamica dei tempi: dalla discesa del feeder lungo la colonna d’acqua, al suo svuotamento; dall’attesa in pesca, al recupero dell’impianto, ivi compreso il lancio successivo.

Un’operazione piuttosto complessa per la quale è necessario prima di tutto conoscere alla perfezione la meccanica della propria pastura, che deve liberarsi dal pasturatore al più presto, ma solo dopo aver toccato il fondo.

In termini pratici, una volta che il pasturatore è giunto a destinazione, non dobbiamo rimanere in pesca per più di 30/40 secondi, per poi recuperare e ripetere il lancio, alimentando l’area di pesca senza soluzione di continuità, come fossimo una macchina. Se questa operazione verrà svolta correttamente, saranno poi i pesci a dettarci i tempi d’esecuzione.

Se vogliamo mantenere l’amico baffuto in pastura, indipendentemente da che il pesce attacchi o meno la nostra esca, questa dovrà essere la costante da seguire per l’intera durata della gara; un dogma imprescindibile, in assenza del quale inizieremo a prendere pesci di specie diversa e quello sarà il segno che intorno alle nostre insidie non ci sono “gatti” e di conseguenza, anche poche possibilità di successo.

Tanto per avere un parametro su ciò di cui stiamo parlando, nelle cinque ore di gara, dobbiamo finire tutti i 12 litri di sfarinati, mais e pellet, compreso i 2 ½ litri di bigattini consentiti.

Se invece alla fine avremo ancora un buon avanzo di tutto questo, vorrà dire che abbiamo sbagliato la frequenza dei lanci oppure abbiamo usato un pasturatore troppo piccolo.

L’innesco

Il pesce gatto americano mangia di tutto e la scelta dell’esca è spesso dettata dalla necessità di selezionare la taglia, sia per il peso che per velocizzare l’azione poiché, soprattutto per chi non è avvezzo alle spine di questi pesci, è molto più facile maneggiare un pesce da 300 gr. che non un “birisegolo” da 50 gr. il quale, ve lo garantisco, non si lascia minimamente impensierire da un amo del n° 10, carico di sei o sette bigattini.

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Personalmente l’innesco che preferisco, sono tre grani di mais cuciti su un amo della massima misura consentita (7 cm. d’apertura), perché è un’esca voluminosa e meno accessibile alle piccole taglie, ma anche un bel fiocco di bigattini o di “orsetti” recitano bene la sua parte.

Se poi il gioco si fa duro, a questo punto un paio di lombrichi, di quelli grossi davvero, innescati a croce o anche solo appuntati per la testa, sono secondi solo a una “mamma”: quell’anellide ormai noto, salito agli onori della cronaca proprio per il ruolo svolto nella pesca pisana.

Comunque sia, più di ogni esca, il miglior modo per fare selezione è quello di mantenere alta la soglia di frenesia alimentare per mezzo di un’accorta pasturazione, così che il pesce di stanza sul nostro pascolo cerchi di mangiare prima di altri tutto quello che gli viene a tiro e in questa fase, sono sempre avvantaggiati i più grossi e i prepotenti.

L’attrezzatura

Se qualcuno mi chiedesse qual è la pesca tecnicamente più simile a quella dei channel dell’Arno pisano, non esiterei un attimo a rispondergli che è quella all’alborella e chi sa di cosa stiamo parlando mi darà ragione, perché la ripetitività dei movimenti, la gestualità fluida e veloce, non che la preparazione certosina dell’attrezzatura, sono le componenti essenziali di una gara ai channel dell’Arno, così come per una gara all’alborella, dove niente si può lasciare al caso.

Perdere anche solo pochi secondi in ogni fase di una sequenza dinamica che si ripete per almeno un centinaio di volte nell’arco delle cinque ore, alla fine significa pescare per alcuni minuti in meno e tanto per fare un esempio pratico, cinque minuti di pesca nell’Arno pisano, quando i “gatti” sono in piena fregola, corrispondono a non meno di tre pezzi che valgono mediamente dai 300 ai 500 gr.……esattamente come, in proporzione, nella pesca all’alborella.

E proprio come nella pesca all’alborella il pesce, per quanto possibile, deve essere “volato” senza l’aiuto del guadino e slamato in un batter d’occhio. Per fare questo ci vogliono gli arnesi giusti e il primo di questi è la canna che deve essere dotata del nerbo adeguato alla gestione di feeder di peso a pieno carico, non di rado superiore ai 100 gr.; deve avere la progressione necessaria per portare alla svelta in secca dei pesci potenti e rabbiosi come pochi altri, sollevandoli di peso, senza batter ciglio, anche quando sono più di mezzo chilo.

Secondo solo alla canna, a parer mio c’è l’amo che deve essere estremamente affilato e sottile, per entrare bene a fondo nella bocca coriacea del pesce gatto, deve mantenere a lungo la punta, anche dopo decine di ferrate e soprattutto deve essere un uncino assolutamente affidabile nella tenuta del pesce il quale, una volta allamato, va recuperato di forza, senza tanti indugi.

Salvo rare eccezioni, i pasturatori più indicati sono quelli a rete o gli open end (in base al fondo e alla corrente) di generose dimensioni e comunque sempre piuttosto pesanti (mai meno di 50 gr.) per arrivare più velocemente sul fondo; inoltre deve anche essere molto resistente per reggere ai continui lanci e ai vigorosi recuperi.

La pesca pisana non tollera mezze misure sui materiali, soprattutto per quanto riguarda madre-lenza e finale, che devono essere quanto di meglio offre il mercato, per affrontare la pesca più violenta e frenetica dell’intero panorama agonistico-dulciacquicolo.

A tale proposito, io che prediligo sempre i finali in nylon, convinto dal pregio di una maggiore morbidezza rispetto al fluorocarbon, nella pesca pisana mi sono convertito all’uso di quest’ultimo, in virtù della sua resistenza all’abrasione, di gran lunga superiore a qualsiasi nylon, che mi da tante più garanzie di durata e di tenuta all’azione “corrosiva” esercitata sul finale dalla fitta micro-dentatura dei pesci gatto americani.

E ora si pesca

Di norma, la linea di pesca nell’Arno pisano non è mai troppo lunga; in condizioni normali i 15/20 metri da riva sono la distanza ideale, ma non è mai da escludere anche una linea molto più corta, sugli 8/10 m., dove in estate si hanno spesso delle gradite sorprese.

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Al segnale d’inizio gara conviene fare subito un po’ di fondo con qualche lancio in rapida successione, ma senza perderci troppo tempo anche perché, come già detto, i lanci dovranno essere sempre molto frequenti.

Nel pasturatore, ovviamente di grandi dimensioni, almeno all’inizio, conviene fare due tappi di pastura, fra i quali racchiudere un generoso nucleo di bigattini incollati, mais e pellet; mentre come innesco sarebbe consigliabile partire con del mais, meno attaccabile dalla minutaglia.

La massima precisione è fondamentale e per questo, almeno nelle distanze superiori, conviene sempre bloccare il filo nella clip del mulinello, marcandolo subito sopra, per ritrovare il punto esatto da recuperare nel caso in cui qualche baffone più nerboruto degli altri ci costringa a “sclippare” per dargli filo.

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Nella pesca corta invece, quella sotto i 10 m., non conviene mai clippare il filo, perché il pesce allamato, soprattutto se di taglia, tende sempre a fuggire rabbiosamente verso il largo senza darci il tempo per togliere l’eventuale blocco. In certi casi, un fiocchetto di filo interdentale stretto sulla lenza madre a marcare la distanza desiderata, è il miglior alleato per mantenere sempre lo stesso punto di pesca.

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A questo punto non resta molto altro da dire; l’Arno e i suoi pesci gatto americani non hanno (quasi) più segreti per noi e quindi non ci rimane che imbracciare la nostra artiglieria pesante da pesca e fare un po’ a braccio di ferro con degli avversari davvero valorosi, che sapranno darci delle belle soddisfazioni, ma anche tanto filo da torcere……..a proposito: i “gatti” pisani non si accontentano di canne, fili e ami, tutti dedicati a loro, vogliono anche delle nasse particolari, all’uopo concepite altrimenti, oltre al tanto filo da torcere, ci troveremo anche a sgranare un lungo rosario di “preghiere” per staccare le loro spine uncinate dalle maglie delle normali reti.

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La pastura

Riguardo le pasture per l’Arno pisano non c’è molto da dire perché oggi, chiunque si presenta sul campo gara sa già cosa usare. Quello che invece non tutti sanno è che non serve a niente disporre di un prodotto eccellente, se non sappiamo come farlo lavorare.

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Indubbiamente la qualità e la composizione degl’ingredienti fanno la differenza, ma il successo e l’apprezzamento di ogni miscela derivano molto anche dalla sua facilità d’impiego e questo è un aspetto importante che distingue una pastura di alto livello da una dozzinale.

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La miscela che io utilizzo per l’Arno pisano e alla quale sono molto affezionato, è composta da tre diverse farine, tutte a marchio Colmic:

1) la MB 500- uno sfarinato dolce a grana grossa, molto legante, di colore scuro e sapore intenso, che io amo miscelare con la Big Fish Red, non solo per le sue caratteristiche organolettiche, ma anche per ottenere la meccanica ottimale;

2) la Big Fish Red- una pastura altrettanto dolce a grana media, di colore rosso, molto conosciuta dai “gatti” dell’Arno e per i quali è particolarmente indicata;

3) Feeder Mix Krill- una delle farine dedicate alla pesca a feeder, a base dell’ormai noto gamberetto oceanico;

4) in ultimo, una buona dose di colorante alimentare rosso, per dare all’insieme quella tonalità tanto gradita ai pesci pisani.

Con questo mix ho avuto delle belle soddisfazioni nell’Arno. Se piace anche a voi non vi resta che personalizzare le vostre dosi…..perché le mie non ve le dico nemmeno sotto tortura.

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Un consiglio

Bagnate sempre la pastura la sera prima della gara; così facendo le particelle assorbiranno tutta l’acqua necessaria e sarà molto più facile modulare la meccanica dell’impasto, comprimendo più o meno il contenuto del feeder. Inoltre, controllate sempre la pancia dei “gatti”; se è troppo gonfia significa che c’era solo quel pesce nei dintorni e si è mangiato lui tutto il contenuto del vostro pasturatore……urge trovare una soluzione.

I danni nell’agonismo

Viene bene dare sempre la colpa a cinesi o rumeni per tutte le zozzerie che vengono lasciate lungo il campo di gara, ma queste foto io le ho fatte di martedì e due giorni prima, la domenica, c’era una gara di pesca e quei barattoli di mais, quelle bottiglie d’acqua vuote (d’acqua, non di birra) e quei sacchetti di pastura, tra l’altro piuttosto cara e quindi poco usata dagli stranieri, erano tutti “freschi”, non erano stati esposti alla pioggia e nemmeno al sole.

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Quindi, non cerchiamo di prenderci in giro, questo degrado è colpa nostra e magari, chi ha lasciato quei rifiuti, sono gli stessi che si lamentano perché lungo il campo gara c’è l’erba.

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Era nel 1300, quando il Sommo Poeta scrisse: “Chi è causa del suo mal pianga se stesso”……e pensare che sono trascorsi inutilmente più di 700 anni.

Le canne

Quando vado a pesca per il gusto di farlo, di solito scelgo delle canne correlate al pesce che andrò a insidiare; poi però fra queste, quella che uso è sempre la più morbida ed elastica, perché voglio assaporare ogni cattura, godendomi le pieghe armoniose di una canna parabolica.

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Quando però c’è da fare sul serio, come in gara, la canna che serve è solo quella “giusta” e la canna giusta per i pesci gatto americani dell’Arno pisano deve essere: maneggevole come una light, per giostrarla agevolmente; forte come una heavy, per gestire dei feeder superiori ai 100 gr.; progressiva come una medium, per stancare dei pesci che sono il non plus ultra nel rapporto fra massa e potenza.

Condensare in un solo progetto tutte queste caratteristiche non è un’impresa facile, ma oggi queste canne ci sono, io ce l’ho e le ho strapazzate senza riguardo direttamente sul campo. Per di più, con un pizzico d’orgoglio, posso anche dire di aver contribuito alla loro realizzazione e quindi so bene quanto valgono.

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Sto parlando delle Next Adventure S-3/90gr. da 12 e 13 ft. e della Next Adventure S-3/120 gr. da 13,8 ft.; le nuovissime canne Colmic in tre sezioni con le quali Andrea Collini, intende rispondere nei dettagli alle richieste di un agonismo sempre più esigente e specializzato.

La Next Adventure S-3/90 gr. (12 ft. e 13 ft.) è una canna scattante e potente, progettata per caricare tanto in fase di lancio, ma capace di domare anche i pesci più impegnativi, per effetto di un’accurata ripartizione dei materiali che consente di far lavorare in progressione la canna dalla vetta al calcio.

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La Next Adventure S-3/120 gr., invece è una canna pensata per la pesca al barbo, ma essendo anch’essa concepita con gli stessi criteri della sua sorella minore, si è rivelata superlativa anche con i “gatti” pisani e vedere come una canna così austera si concede al pesce, succhiandogli le forze, mi ha davvero colpito

Da mettere in fondo alla scheda, dopo le foto

Un consiglio

I pesci gatto americani mangiano senza tanti complimenti e quindi non importa montare sulla canna delle cime troppo sensibili anzi, un vettino un po’ più rigido e magari tenuto anche in leggera tensione, da maggiori garanzie di auto-ferrata e di conseguenza, minore possibilità d’errore; io nell’Arno pisano non uso mai punte sotto le 3 once.

Lenze e finali
Ormai è chiaro che i pesci gatto americani non stanno a guardare il pelo nell’uovo, ma anche se lo facessero, conoscendo la loro forza e la violenza con la quale si difendono, non ci sarebbe comunque alternativa all’uso di lenze e finali maggiorati.

Le misure dei fili da utilizzare nell’Arno pisano si possono facilmente riassumere in una madre lenza mai inferiore a un robusto 0,25 – 0,30 mm. e finali da 0,22 – 0,25 mm.; comunque sia, è sempre consigliato l’uso di finali in ottimo fluorocarbon, per potersi meglio difendere dai dentini taglienti dei channel.

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Il flourocarbon è più rigido del nylon e tiene un po’ meno, ma dalla sua c’ha una maggiore resistenza all’abrasione e poi, a differenza del nylon, essendo totalmente impermeabile all’acqua, non viene indebolito dall’assorbimento dei liquidi e quindi, alla lunga regge quanto un buon nylon.

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Tuttavia, almeno per quanto possibile, io preferisco sempre pescare con il nylon e per fare questo nell’Arno pisano, uso dei piccoli stratagemmi: il primo consiste nel guardare sempre dov’è allamato il pesce e se l’amo non è all’interno della bocca, il finale non ha subito danni e quindi continuo a pescarci; il secondo accorgimento è quello di far passare sempre, a ogni pesce salpato, il filo fra i polpastrelli delle dita per sentire se è danneggiato e di conseguenza cambiarlo o meno; il terzo e ultimo espediente è quello di far scorrere sul nodo dell’amo un piccolissimo tubicino in silicone, lungo 4 mm. (vedi foto), che proteggerà il nodo nel punto più esposto ai denti.

 

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