Roberto Generali….amarcord la pesca dell’alborella

Alcuni anni fa, almeno una quarantina o forse più, le gare di pesca in Italia erano indirizzate a senso unico verso la pesca dell’alborella.

Questi pesciolini argentei popolavano le acque italiane in lungo e in largo ed era quasi impossibile “forare” lo strato di alborelle che ricopriva gli specchi d’acqua.

Tutte le squadre impegnate nei vari campionati di Eccellenza, il meglio dell’agonismo nazionale, dovevano sapersi cimentare in questa specialità e per farlo, e giocare sempre un ruolo da protagonisti, ci si doveva ingegnare al punto che qualcuno si auto costruiva non solo le canne ma pure i galleggianti.

Molti alborellisti di allora sono ancora oggi in attività, proprio come il nostro amico Roberto Generali di Bologna (foto sotto), e proprio con questo attivissimo agonista felsineo, è passato dalle corte canne fisse, alla roubaisienne alla disciplina emergente del feeder.

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Roberto Generali in quegli anni 70 si cimentava nelle gare di pesca ed era tra i più forti in Italia insieme ai tanti che hanno scritto pagine importanti come ad esempio i romagnoli della Pesca Sport Forli che rispondevano al nome di Vittorio Ragonesi, Virginio Balella, Luciano Botti, Franco Donati, Brunello Preda, Tazzari…grandi campioni sempre difficili da battere.

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Pesca Sport Forlì era una squadra tanto forte che addirittura un ragazzo di Parma, un tal Roberto Trabucco, ne fece parte per un periodo quello necessario per apprendere i segreti più inviolabili.

La pesca dell’alborella la facevano tutti, pure i pescatori amatoriali i quali erano soliti dedicarsi a questa pesca, anche e soprattutto per motivi alimentari.

Nelle gare ad ogni livello il pesce una volta pescato veniva racchiuso in un sacchetto che veniva agganciato ad un cerchio di alluminio per mezzo di un cinturone alla vita del garista e al termine della gara, veniva pesato e spesso portato in qualche Istituto per scopi alimentari.

E così negli anni la popolazione di questo ciprinide è diminuita in maniera lenta e inesorabile.

Restano solo alcuni luoghi dove è ancora possibile catturarne in gran quantità e questi luoghi sono meta di nostalgici e nuove leve che intendono tentare l’approccio a questa tecnica.

Roberto Generali ci spiega come la pesca all’alborella non sia particolarmente spettacolare ma decisamente tecnica  tanto che ogni movimento, ogni gesto deve essere calcolato per diminuire i tempi morti ed entrare rapidamente in pesca.

Per minimizzare i tempi è necessario non lasciare nulla al caso, a cominciare dall’attrezzatura e soprattutto dai bigattini per l’innesco che in quegli anni venivano fatti durante la settimana con un processo di invecchiamento e indurimento della pelle al fine di permettere una maggiore resistenza al morso del pesce e quindi concretizzare così un numero di catture più elevato con l’uso di un singolo bigattino.

La sostituzione del raparino e majalino, così venivano chiamati i bigattini specifici da alborella, comportava alcuni secondi quindi tempi morti di non pesca che non permettevano quindi di tenere il passo delle catture.

I majalini solitamente venivano curati da un singolo garista che li faceva per tutta la squadra e nel caso della Pesca Sport Forlì era Franco Donati ad occuparsene.

Franco Donati era un giovane ragazzo in rampa di lancio che per anni ha accompagnato in mille battaglie il suo compagno di squadra Vittorio Ragonesi che poi divenne pure campione italiano individuale e che a scuola di Franco era pure suo professore.

Le canne, spesso molto corte, dovevano essere rigide nel fusto e avere dei cimini morbidi per salpare rapidamente i pesci.

Le canne di canna dolce costruite dal mitico Paolucci e da lui firmate con la scritta vig pao (Vigarani Paolucci) e l’indirizzo del suo negozio con anche il numero di telefono. Una precisione maniacale, e la misura di ogni canna veniva riportata al cm.

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Vigarani era il più forte agonista d’Italia del dopoguerra, fu campione del mondo ed era socio di Paolucci nel negozio.

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il cimino era ricavato dal midollo di una canna chiamata tonchino e pur non essendo molto sottile era molto flessibile

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I galleggianti erano di due tipi, uno dalla forma più tondeggiante da utilizzare quando l’alborella “sgallava” ovvero mangiava dirigendosi verso la superficie, mentre un altro di forma più allungata si utilizzava per meglio vedere le mangiate “laterali”, quando il pesce una volta predata l’esca si muoveva lateralmente.

I galleggianti erano particolari, costruiti in balsa e tutti erano prodotti artigianalmente da qualche specialista.

In Romagna ce n’era più di uno, da Roberto Mazzotti, un falegname occupato presso l’Ospedale di Cesena che nel tempo libero ne produceva diverse migliaia e poi come non ricordare Brunello Preda di Forlì il quale aveva aperto anche un negozio di articoli da pesca.

Una serie di galleggianti di diversa  produzione e a quei tempi molti agonisti se li costruivano in proprio e quindi venivano commercializzati con il loro nome.

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questo era il Bonzio

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lenza ultra light …4 x 7 filo della linea 0,065 e amo del 28 legato direttamente

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il famoso Gillio  …indispensabile per le acque mosse e da notare lo styl montato sulla deriva in acciaio per una più veloce verticalità. Le studiavano proprio tutte per velocizzare le catture

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Nel 1969 Roberto Generali partecipò al torneo internazionale di Monterau nei pressi di Parigi e in quella occasione scoprii questo stupendo galleggiante, il Ghineuf nome del suo inventore …se ne innamorò e ne portò a casa un discreto numero che andarono a ruba. Successivamente chiese a Milo di importarli e divennero meno rari.

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il primo galleggiante in assoluto per la pesca dell’alborella …era francese e si chiamava styl, primo nel senso di età anni primi 60.

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due Tesse originali acquistati da Generali in Francia nel 1969

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la scatola magica ed il suo contenuto

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Anche sulle piombature c’erano delle vere e proprie teorie, ad esempio le più efficaci erano quelle realizzate con piombi styl distribuiti in modo equidistante abbastanza raccolte per permettere di leggere perfettamente i movimenti del galleggiante.

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I terminali erano corti e legati a questi dovevano esserci ami dalla grande capacità di pungere anche dopo innumerevoli pesci salpati.

Un amo specifico per questa specialità che ha fatto la storia era il famoso Mustad serie 5713 con il quale si riusciva nelle giornate più frenetiche di prendere anche 300/400 pesci ogni ora e va da sé che un singolo amo doveva trovarsi costretto a dover forare centinaia e centinaia di pesciolini.

La misura dell’amo, contrariamente a quanto sembra ovvio pensare, doveva essere proporzionata più alla dimensione dell’esca che a quella dei pesci.

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Infatti l’esca doveva calzare perfettamente sul gambo dell’amo senza scendere sulla curvatura. In questo modo non solo si evitava di sbagliare le mangiate ma ci si garantiva anche una maggiore durata dell’esca stessa.

In quegli anni la pesca dell’alborella era vincente e l’Italia riuscì a vincere pure qualche mondiale grazie anche alle pasture che in questa specialità da sempre fanno la differenza.

Dopo gli amici romagnoli che avevano messo a punto una tecnica sopraffina e batterli era molto molto dura c’erano anche i Bolognesi della Rosso Blu e della 2 Torri guidati dalla grande passione del compianto Luciano Zuffi e di suo fratello Gianni carpendo loro alcuni segreti Generali riuscii qualche volta a batterli in primo luogo riuscendo ad avere i loro galleggianti che erano impareggiabili in quella pesca.

Galleggianti sensibilissimi, dall’entrata in pesca molto lenta, particolare questo che unito alla distribuzione della piombatura rigorosamente a styl (sempre in numero di 6) favoriva la cattura di pesci più di taglia.

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Come detto, gli ami che si usavano per la maggiore e che fecero la storia erano i 5713 …conosciuti da molte squadre…. e a questo punto rimanevano altre due componenti per arrivare al successo, oltre ovviamente alle doti personali ed ore ore ore di allenamento …la Pastura ….quella con la P maiuscola.5713-500x500

Di questi ultimi ne abbiamo già parlato in un articolo precedente sempre di Generali….ma della pastura no. Infatti il vero salto di qualità l’agonismo lo fece appunto quando si riuscì dopo tantissimi esperimenti a trovare quella giusta.

E quella giusta era quella che produceva il grande Brunello Preda, ottimo agonista e costruttore dei mitici affusolatissimi galleggianti che portavano il suo nome.

A quei tempi non c’era agonista che non li avesse nel proprio paniere.

Grazie a Luciano Zuffi ed in gran segreto Brunello Preda riforniva sempre a piccole quantità della sua magica pastura alcuni amici bolognesi.

Roberto al riguardo ci dichiara: “Ho ancora nelle narici il suo aroma inconfondibile….ce ne innamorammo tutti noi dei Rosso Blu e fino a che ci furono alborelle da pescare non la cambiammo più”.

Grazie Brunello Preda !

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Amarcord il mio vecchio paniere fattomi sempre da Roberto Mazzotti nel 1973

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Un saluto a tutti da Roberto Generali
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