Madà in light Light Madà Madagascar tutto in light
Dopo tanti viaggi di pesca in Madagascar, da un po’ di tempo a questa parte ci piace giocare, cioè abbandonare le attrezzature più pesanti per passare ad uno spinning ed un jigging più leggero per cercare la cattura di pesci meno importanti, ma decisamente divertenti se pescati in light.
Testo e foto Alessandro Righini
Sono ormai dieci anni che la meta preferita dei nostri viaggi di pesca è il Madagascar. Li, jigghiamo, spopperiamo o inneschiamo bonito interi, alla ricerca di grossi carangidi, cernie, tonni dente di cane e marlin. Naturalmente le attrezzature impiegate sono, e devono essere, adeguate alle prede e quindi canne e mulinelli dal drag elevato, dai sette otto Kg in su, e trecce di PE 4-8 (50-100 lb).
Cercare la cattura di pesci importanti ci obbliga dunque a pescare pesante e … farlo tutto il giorno, implica un allenamento fisico non indifferente, decisamente non adatto a tutti e sono talvolta necessari dei momenti di pausa conciliabili, per esempio e per non restare inoperosi, con sessioni di pesca con tecniche più leggere, rivolte ugualmente alla cattura di pesci proporzionalmente divertenti.
Ben venga il light, ma …
Se si decide di pescare in modo leggero bisogna essere comunque consapevoli dei limiti che il light takle può avere in quelle acque ed è soprattutto importante capire quali siano il momento adatto ed i tratti di mare per pescare al meglio in modo leggero.
Come avevamo accennato, la pesca in light takle ha i suoi limiti: le attrezzature sono leggere, si pesca infatti con trecce PE 1-3 (circa 15-40 libbre) ed una treccia da quaranta libbre, che possono sembrare tante, se sfrega su una roccia o su una patata di corallo esplode in men che non si dica; le canne sono adeguate ai libbraggi delle trecce e se si aggancia una cernia di una decina di chili con tali attrezzature si può solo sperare di alzarla dal fondo prima che si accorga di essere stata allamata e lo stesso discorso vale per un pesce pescato a spinning dove si spera che questo non punti il fondo, ma combatta a mezz’acqua.
Perché quindi pescare light in acque tropicali? Beh, oltre a permetterci di riposarti un po’ durante le sessioni di pesca tropicale “vera”, diciamo che un’attrezzatura leggera ci permette di gustare in pieno il combattimento con un pesce di medie dimensioni e ci “esalta” se si riesce a portare a buon fine la cattura di un big, naturalmente un big proporzionato all’attrezzatura impiegata.
Se poi la zona in cui peschiamo è ricca di pesci di media taglia ben disposti ad attaccare le nostre esche o sono frequenti le mangianze in superficie, la pesca con attrezzature leggere ci fa divertire eccome e soprattutto è adatta a tutti i fisici.
Spinnig, light jigging e slow pitch
Quando parliamo di tecniche leggere ci riferiamo allo spinning, al jigging light e alla sua variante slow pitch. Beh per quanto riguarda lo spinning ed il jigging c’è poco da dire: basta alleggerire tutta l’attrezzatura, dalle canne che passeranno da 10-15 kg di max drag a quelle da tre quattro chili, ai mulinelli che dai 18000 o 20000 passeranno a seimila o ottomila, usando poi trecciati di libbraggio massimo 40 lb.
Anche le esche diminuiranno di dimensione e peso dai popperoni da 150 grammi si useranno quelli da cinquanta o sessanta, idem per gli stick ed i jig raramente arriveranno ai 100 grammi privilegiando i sessanta e gli ottanta.
Un mixer di tecniche che stupisce
Discorso a parte va fatto per lo slow pitch una tecnica veramente catturante anche nelle acque tropicale.
Nata come variante del jigging lo “slow-pitch jigging” o “slow-fall jigging” prende nome dal lento movimento in caduta delle esche e dalla tecnica di recupero, anch’essa lenta e armoniosa.
In pratica il light jigging fornisce l’attrezzatura, poiché si pesca con canne e lenze di PE 1-3, quindi leggere se rivolte alla cattura di pesci di taglie di tutto rispetto, ma decisamente “sportivamente” adeguate per pesci più o meno piccoli. I movimenti di recupero sono quelli che normalmente adotteremmo se si pescasse a inchiku o kabura, lenti, armoniosi, con morbide jerkate alternate a momenti di pausa anche lunghi e tutto questo ha un senso ed è la “filosofia” di questa tecnica.
Andiamo con ordine, analizzando prima le canne. Si possono impiegare sia quelle adatte a supportare il mulinello rotante, che prevedono una fitta anellatura realizzata con passanti di piccolo diametro che consentono l’ottimale allineamento del filo in fase di svolgimento, come quelle anellate in modo classico per il mulinello a bobina fissa: le prime potrebbero fornire una maggiore sensibilità e contatto con le esche, le seconde una maggior praticità anche per i meno esperti. In entrambi i casi, però debbono avere una flessibilità notevole, soprattutto verso la vetta: la cima deve essere estremamente elastica in moda da imprimere facilmente movimento all’esca anche con semplici giri di manovella del mulinello senza muovere la canna. Nonostante la loro estrema flessibilità debbono sostenere e far muovere grammature fino a duecento grammi (da usare in acque profonde o in caso di forte corrente), anche se ci siamo accorti che pescando con jig da 80 a 150 grammi si ottengono i migliori risultati sia in termini di cattura come di facilità di pesca. La loro lunghezza è compresa tra un metro e ottanta e due metri e dieci. Interessante notare che, pur essendo adatte le stesse canne che stiamo oggi usando da inchiku, kabura, si possono trovare sul mercato canne decisamente valide a prezzi interessanti, anche nell’ordine dei 50/100 Euro, anche se, logicamente, da attrezzature di fascia di prezzo superiore potremmo pretendere qualche cosa in più in termini di affidabilità e soprattutto durata nel tempo degli anelli.
I mulinelli dovranno poter essere in grado di contenere almeno 200 metri di treccia di PE 3 (circa 40 libbre): anche se impiegheremo trecciati di libbraggi più bassi, 15-20-30 libbre, il mulinello, rotante o fisso che sia deve avere una buona riserva di filo in modo da poter tentare il recupero anche di eventuali grandi prede impreviste e fortuitamente allamate.
Discese a farfalla
Come accennato, questa tecnica deve molto, forse tutto, al movimento delle esche. La loro particolare forma lanceolata con baricentro centrale e dai lati quasi sempre asimmetrici , con almeno una parte leggermente bombata e l’altra piatta o prismata, le fa scendere verso il fondo sfarfallando notevolmente, quasi in orizzontale, ed assai più lentamente di uno short o di un long jig classico.
“Jiggandole” lentamente si sollevano in verticale e si riadagiano sfarfallando durante gli intervalli: sono proprio questi sfarfallamenti e queste pause che inducono i pesci ad attaccarle addirittura quando siamo praticamente fermi.
Il movimento (jerkata) è lento e può essere accompagnato ritmicamente da uno o due giri di mulinello, cercando di variare spesso il ritmo, intercalando i movimenti con momenti di pausa e tutto impostato sulla lentezza dei movimenti, in modo da dar modo ai pesci di vedere le esche ed approfittare proprio della lentezza di quello che per loro rappresenta un pesce in difficoltà per attaccarlo.
I nostri avversari
Pescando in modo light nelle acque a Nord e a Sud di Nosy Bé abbiamo catturato e … perso di tutto. Approfittando di un momento di pesca con buona attività, sia in superficie come sul fondo, da parte di carangidi di varie specie e di tanti coral fish (pesci che vivono tra i corali), abbiamo dedicato gran parte delle giornate di pesca al puro divertimento … piuttosto che alla fatica. Così è uscito di tutto: dai bellissimi blue finn trevally ai gt, dalle cernie agli snapper e vi assicuriamo che non abbiamo rimpianto la nostra scelta pur avendo avuto a priori la consapevolezza, che avremmo potuto perdere le prede più importanti … fatto che è regolarmente successo.