La storia dei cimini colorati
Fermo restando che sin dagli albori della pesca sportiva gli angler più intraprendenti iniziarono , seppur con qualche difficoltà oggettiva, a modellarsi delle segretissime ed invidiate vette self made, per risalire ad una sorta di produzione su larga scala dobbiamo ritornare ai primi anni 90 quando qualcuno iniziò a distribuire le sue famosissime punte.
Realizzate rigorosamente a mano in una sorta di primordiale pasta di vetroresina e caratterizzate da da una sgargiante e ben visibile colorazione a settori, queste ultime irruppero nel mondo della pesca agonistica come un fulmine a ciel sereno riscuotendo un successo senza eguali per un lunghissimo periodo di tempo.
La storia dei cimini in fibra di vetro, nelle sue più svariate caratteristiche, ebbe inizio negli anni 90 quando un certo Paolo Vichi, un romagnolo di Riccione, decise di produrre in proprio questi cimini prima per uso personale e per gli amici più stretti, ma poi visto il grande interesse che riscuotevano, decise di fare questo lavoro a tempo pieno.
Per oltre vent’anni con i suoi cimini ha fatto pescare bene migliaia di pescatori di tutta Italia e non solo e dopo una pausa di qualche anno, questo artigiano dalle mani sapienti, torna alla pesca e lo fa proprio con la tecnica del feeder.
I suoi cimini colorati nascevano da un grezzo che provvedeva ad acquistare da un fornitore giapponese e li lavorava uno ad uno manualmente una volta trovata la giusta azione provvedeva a colorarli.
Paolo Vichi ha detto:
“a me bastava poco per dare ad una canna un buon cimino, ormai avevo una acquisito una manualità ed un’esperienza tale che li potevo levigare anche ad occhi chiusi.
Mi bastava un trapano con un mandrino, dove bloccavo il grezzo alla base, e poi con la carta vetrata di diverse misure lo modellavo fino a portarlo alle richieste pervenute.
In quegli anni avevo un catalogo, che ancora conservo, una valigia di legno con dentro un centinaio di cimini dall’azione più svariata da pochi grammi fino a lanciare pesi di qualche etto.
Tutti volevano i famosi cimini di Vichi tanto che non riuscivo a soddisfare le richieste che mi arrivavano dai vari negozi sparsi in tutta Italia.
Oggi mi piacerebbe tornare a pescare con la tecnica del feeder e sono sicuro che grazie all’esperienza che ho maturato per anni di attività di pesca in mare, potrei togliermi qualche soddisfazione, perchè ritengo la tecnica del feeder una tra le più catturanti e divertenti in assoluto.”
Prima dell’arrivo dei cimini colorati, qualche decennio fa, i pescatori utilizzavano le canne così come uscivano dalla fabbrica, la scelta della canna era per il tipo di pesce da insidiare ma la vetta era sempre già inclusa.
Per la pesca a passata mirata ai cavedani si acquistavano canne con fusto parabolico e vetta sensibile in fibra di vetro, per pescare le carpe ovviamente ci si indirizzava a canne più rigide con cime semi paraboliche sempre in fibra di vetro.
Le canne da ledgering avevano in dotazione tre cimini di diversa potenza, accasate all’interno del calcio della canna stessa, che si innestavano sul sotto vetta come avviene di fatto con le canne di oggi”.
Ho cominciato a pescare a ledgering diversi anni fa, quando nei campionati provinciali di pesca al colpo, oltre alle bolognesi, canne fisse o roubaisienne, si poteva utilizzare anche il famoso “fondino” una canna da lancio per la pesca a fondo da utilizzare solo con piombetto in lenza.
Non ho mai capito il perchè nelle competizioni del colpo, come da sempre avviene nei paesi anglosassoni, non venisse consentito l’utilizzo del feeder al posto del piombo ma questo cambiamento in Italia purtroppo è avvenuto solo negli ultimi anni con l’evoluzione della pesca.
Lo sviluppo della tecnica del feeder è molto vistoso tanto da indurre i pescatori a cercare miglioramenti continui per ottenere il meglio e le aziende recependo queste innovazioni le fanno proprie per essere poi commercializzate su scala industriale.
Si sono fatti passi da gigante con attrezzature e accessori ma siamo ancora in ritardo con i segnalatori di abboccata ovvero i cimini delle canne.
Intanto un buon cimino in carbonio dovrebbe avere gli anelli passafilo legati rispettando la spina ma sono quelli in fibra di vetro ad essere scelti dai pescatori più attenti, non solo del mare, ma anche delle acque interne.
Il cimino è la parte finale della canna, il punto più strategico, perchè è proprio li che arriva la segnalazione dell’abboccata, come avviene con il galleggiante nella pesca al colpo.
Se il cimino è fondamentale per leggere anche le toccate più impercettibili occorre dargli al giusta importanza e quindi deve avere le giuste caratteristiche in rapporto al tipo di canna che si possiede e al tipo di pesca che si intende fare.
In un fiume a corrente sostenuta come potrebbe essere per il Mincio a Peschiera e nel Canalbianco quando la marea fa muovere l’acqua sceglieremo una canna dal fusto abbastanza rigido che possa reggere la spinta dell’acqua ma nello stesso tempo non deve avere un cimino troppo duro.
Servirà dunque un cimino in fibra di vetro dal diametro di base compreso tra i 3 e i 3,5 millimetri e diametro finale da 1 millimetro che regga bene il lancio di pasturatori pesanti anche 60 o 80 grammi ma che assicuri allo stesso tempo un morbidezza per vedere bene le abboccate.
Anche con il carbonio si possono trovare giusti compromessi ma rimarrebbe troppo rigido e limiterebbe la lettura delle segnalate.
Se invece ci trovassimo in un campo gara con piccoli carassi da insidiare, tipo il canale di San Siro, allora vireremo su una cima più sensibile, semi parabolica, che possa leggere anche le tocche più delicate.
Diversi agonisti che per anni hanno fatto gare in mare, dove la pesca al tocco la fa da padrone, hanno deciso di abbracciare la tecnica del feeder in acque interne portando in dote quindi una grande esperienza in fatto pesca al tocco e quindi di cimini.
A.S.