IL BIGATTINO

Che cosa è la Pesca per diletto, se non “L’arte dell’insidia” come la definiva Livio Tofanelli sul mensile “La Pesca Italiana” alla sua prima pubblicazione nazionale il 5 maggio del 1940 e senza l’esca di cui andremo a parlare, la tecnica alla passata, con canne fisse e bolognesi, ma anche l’inglese, il Ledgering, la Roubasienne etc. sarebbero state meno efficaci e sicuramente meno “intriganti”!

Su di un’esca così conosciuta e usata almeno da 60 anni a questa parte da tantissimi pescatori dilettanti e agonisti, (in un Pescare del Marzo del 1974 si stimava che l’80% degli 800.000 pescatori di allora l’usasse) e su cui tutte le riviste specializzate hanno spanto fiumi d’inchiostro, non è facile cogliere notizie “originali” e sfuggire alle banalità; ma visto che è a questo che miro sempre quando scrivo, vediamo se ci riesco anche questa volta.

Per prima cosa diamole un nome di riferimento unico

BIGATTINO

Vi chiederete perchè non BACHINO oppure CAGNOTTO o che sò GIANIN se non “tecnicamente” LARVA DI MOSCA CARNARIA, che poi sull’unicità di “carnaria” vedremo…

La scelta di chi scrive, ovviamente personale, è dettata dal fatto oggettivo che i pescatori Bolognesi/Emiliani ne sono stati da sempre i maggiori fruitori, e il loro modo di chiamare questa larva è quello che viene più usato sui fiumi, è un po come usare la lingua Inglese se vogliamo farci comprendere da tutti, ora in realtà gli inglesi la chiamano MAGGOT ma vediamo di non incasinarci, era solo un esempio…

D’altronde è dal loro smodato uso che avveniva durante il boom in Emilia/Romagna che deriva anche il detto “una federa di bigattini” si perchè negli anni 70/80 c’erano soggetti pescanti che andavano a giro anche con 10kg di bigatto, ora non so il riferimento esatto dell’unità di misura: “federa”, ma non siamo lontani da quei pesi!

Ovviamente la cosa poi è stata copiata anche dai pescatori di altre regioni, perchè i cugini d’oltre appennino sono dei gran girelloni e “l’idea vincente” ( di catturare molto per intontimento) si è subito spanta per lo stivale… personalmente ricordo un “simpatico” cliente del Collini ( Patron C.O.L.M.I.C.) quando ancora aveva il negozio di Caccia&Pesca in Via Datini a Firenze (ci andavo a piedi) che soleva pescare con almeno 5kg di bachi; il soggetto quando trovava in negozio agonisti o pescatori per diletto che ragionavano di tecnica, li guardava con aria strafottente enunciando il suo teorema preferito:

“ Chi più spende più prende”!

– La pesca vista attraverso gli occhi di un “catturatore di pesci” spesso è tutta li-

Prendo a pretesto questa riflessione per scrivere ai giovani, ormai noi vecchi non possiamo tornare indietro…di non farsi irretire dalla sindrome del “Pescatore Lupo Mannaro” che ad ogni cattura grida: “sangue, sangue, sangue… come scrive Thomas Mc Guane nel suo bellissimo libro: IL GRANDE SILENZIO (leggetelo è formativo per un Pescatore)

Lasciate che la pesca vada oltre le catture, importantissime certo, ma che non rappresenteranno mai in pieno il contesto, lasciate che la pesca sia anche il luogo dove ci si apparta coll’anima, dove è permessa finalmente l’arrendevolezza al trascorrere delle ore, mentre semplicemente si pensa a come ingannare un pesce, e dove ci si sorprenda a cincischiare con qualsiasi cosa a cui non avremmo mai prestato attenzione altrove.

ENTOMOLOGIA

Due note entomologiche sono necessarie anche se abbastanza conosciute dai pescatori o rintracciabili in Internet.

La nostra esca è la larva di alcuni DITTERI, praticamente mosche, in natura: insetti con 2 ali, di cui conosciamo la bellezza di quasi 125.000 specie.

Le specie che interessano noi fanno parte delle famiglie SARCOFAGIDI e CALLIFORIDI e qualche altra piccola mosca, oltre ultimamente anche a dei TABANIDI famiglia dei Tafani la cui larva è chiamata “Orsetto”, ma non deviamo…

Le nostre due mosche di maggior riferimento sono:

Sarcophaga carnaria ( Linneo 1758) Mosca grigia

e Calliphora vomitoria ( Linneo 1758) Mosca azzurra

I nomi son già tutto un programma.

Ora in realtà se escludiamo le piccole larve chiamate “raparini”

che sono di un’altra mosca ancora, (più piccola) e non mi addentro…quella che realmente interessa noi è la “carnaria” allora perchè ho nominato anche la “vomitoria”?

Semplicemente perchè se vogliamo risalire alle origini del BIGATTINO come esca o cibo per i pesci, come vedremo la prima ad apparire è proprio la “vomitoria” volgarmente chiamata: mosca azzurra.

Le due larve sono molto simili, tanto che non sono riuscito a trovare da nessuna parte differenze apprezzabili fra le due da segnalarvi, vi metto le foto della larva della vomitoria, e della sua progressione in pupa o crisalide.

La domanda allora è: perchè per la produzione del Bigattino viene usata la carnaria e non la vomitoria, o entrambe?

La risposta che mi sono dato io, non essendo un produttore, perciò posso anche sbagliarmi; sta nel differente modo di deporre dei due insetti, la femmina della carnaria ha uno sviluppo iniziale delle uova già nell’addome, in pratica è vivipara, depone le larve schiuse (cosa che accelera i tempi di produzione) la vomitoria invece depone uova, già comunque ad uno stadio avanzato di embrionatura, tanto che si schiudono in larve in 18 ore.

Molto probabilmente poi la larva della carnaria ha tempi di “muta” più lunghi prima che si impupi, rimanendo un esca vitale utilizzabile per più tempo, oppure no, forse commercialmente è meglio che duri poco…sto riflettendo a braccio mentre scrivo, perciò non saprei

La sua produzione artificiale grosso modo consta nel tenere dei pezzi di carne in putrefazione in una stanza buia dove le mosce depositano poi le uova/larve, quando la carne ne è piena, viene spostata in un altro luogo, dove le larve vengono fatte ingrassare con carcasse di pollo.

Negli anni ‘60 su ricordi di Marco Campatelli figlio del costruttore di canne dolci dell’epoca, appunto il CAMPATELLI , non c’erano questi produttori grossisti, ma i Caccia &Pesca si rifornivano direttamente ai Macelli Generali, che all’epoca a Firenze erano in via Circondaria, le larve erano prelevate da delle carcasse di manzi, e in quelle stanze regnava il peggior fetore che si potesse immaginare.

Vi metto una immagine del passaggio da uova a larve ripresa da Internet.

 

Negli anni ‘30/60 anche in mancanza di frigoriferi a disposizione per conservare queste esche per la primavera successiva bastava riporle a fine ottobre in una cassetta contenente terra soffice e umida, le larve scendevano sul fondo, e la cassetta riposta al riparo sia del gelo che del caldo le conservava senza che subissero metamorfosi, probabilmente, penso, si riducevano di volume.

E’ interessante sapere che questa particolarità (nella deposizione e sviluppo delle larve) fra le due specie di mosche risulta molto importante per la medicina forense, ben più che per i pescatori, perchè è in base allo sviluppo di queste uova/larve ritrovate sui cadaveri che il perito può stimare il giorno se non addirittura l’ora del decesso di un individuo.

A noi basta la macchiolina nera che si intravede dentro il corpo, indice di un pasto ancora da digerire che ci comunica che il Bigattino è al massimo della sua forma e dimensione, insomma che è fresco!

ALLERGIA

Prima di proseguire un’avviso a chi usandoli notasse arrossamenti alle mani, gonfiori agli occhi, pustole sul corpo, attacchi di asma, che emergono magari durante o dopo essere andati a pesca.

E’ la famosa allergia al bigattino, (più o meno grave e stabile o transitoria) che in realtà è originata dalle sostanze che emette essendo un addetto al processo di decomposizione dei corpi, di seguito: le ammine biogene: cadaverina-putrescina, ma anche tanti gas formati dai batteri sul corpo dei Bigattini tipo: ammoniaca – solforato- metano etc. non ultimo se usate Bigattini colorati potete essere allergici alle sostanze polverizzate che vedremo vengono usate per la loro colorazione.

I rimedi non sono semplici, va individuata la causa primaria, in commercio ci sono in vendita delle polveri da usare per contenere il problema, ma principalmente ci si difende cercando di non toccarli, usando guanti, e anche di far loro disperdere al minimo le sostanze volatili al momento della fiondata, prima dell’uso si possono lavare i bigattini e farli poi asciugare nella segatura che poi però va setacciata perchè volatile…e passarli successivamente nella farina di mais (la Maiesina che si trova in tutti negozi di alimentari) che oltretutto li rende belli tonici… Si può anche preventivamente assumere degli antistaminici; alle perse esistono i Bigattini artificiali, ovviamente solo per innesco, ormai prodotti da varie case la prima mi sembra fu la Berkley; ma il consiglio principale è di rivolgersi al proprio dottore!

MALATTIE PERICOLOSE

Ora senza voler allarmare nessuno, perchè molto rara nell’uomo ( come fattomi notare da Enea Tentoni) ma per conoscenza diciamo pure che le larve dei Ditteri sono potenzialmente mortali per noi, ma specialmente e gli altri animali, la malattia infettiva/progressiva si chiama MIASI ed è quella provocata dalle sue larve che penetrano (mangiandoli e infettandoli) i tessuti, principalmente le ferite, ma anche qualsiasi orifizio è buono, specie in estate quando le mosche sono tante.

E’ ovviamente cosa rara, perchè le ferite noi le curiamo, e le mosche le scacciamo, ma se fossimo impossibilitati dal farlo, le mosche e le sue larve potrebbero divenire un grosso problema.

La Miasi ha tre forme: Foruncolosa- da ferite- e migratoria ( dagli animali) La difesa è semplice disinfestazione con acqua fenicata al 4% e rimozione delle larve che nell’uomo non vi dico dove preferiscono entrare, ma fino dal sacco congiuntivale …negli animali, principalmente cani da caccia, si usa tamponare con Betadene diluito… etc. etc.

I COLORI

Vogliamo parlare velocemente dei colori?

Liberamente tratto (e integrato) dalla rivista Pescare del Marzo del 1974 da un articolo sul BIGATTINO a firma Raffaele Filippi che ha per titolo:

BENTORNATA PROVVIDENZA

I Bigattini sono generalmente colorati con polveri di Anilina o Rhaodamina che è fluorescente., penso a conosciuti Pinkies Inglesi che vengono usati solo per innesco e che hanno una durata (sempre in frigo) molto superiore alle larve classiche, il loro colore acceso è anche frutto di una diversa metodologia di colorazione, che vedremo in seguito.

Ci sono sostanzialmente due metodi per colorare il Bigattino, o lo si fa sulla larva ( dopo averla pulita) e successivamente la si ripassa nella segatura e la si setaccia per levarne gli eccessi ( metodo buono anche artigianalmente) oppure si cosparge la carne in putrefazione su cui ci sono le uova, delle sostanze sopra dette, e il Bigattino fa da se.( è il metodo dei Pinkies)

Non sono andato più a fondo sulla tecnica, perciò ci saranno sicuramente delle mancanze.

La cosa importante da sapere, visto quanti pescatori sono pronti a spergiurare sull’efficacia di un colore rispetto ad un’altro per ottenere l’abboccata di una specie di pesce “predestinata”; è che scientificamente ad ogni metro di profondità d’acqua i loro colori mutano venendo via via filtrati e assorbiti, oltre i 5 metri le nostre larve tendono tutte al nero, dei colorati quello che si difende più a lungo è il verde, ma sicuramente il top è il colore naturale lattiginoso/bianco che a quella profondità vira leggermente all’azzurrino/grigio, fate voi.

Sui colori si è accesa anche la creatività dell’amico pescatore a mosca Massimo Gigli che nel 1984 per conto della casa editrice Olimpia creò il divertente bozzetto di un calendario, che poi non ebbe però stampa, bozzetto dove in una pagina Massimo si divertì a disegnare e dare un nome ad ogni tipo di bigattino colorato.

Il Gigli era comunque un gran recidivo perchè dovete sapere che trovò il suo primo lavoro,( importante ) e la sua strada nella disciplina della Pesca a Mosca, dove oggi è per tanti una icona, proprio grazie ai bigattini colorati…

Correva il 1968 il Massimo all’epoca ancora giovine studente dell’Istituto d’Arte di Porta Romana a Firenze già bazzicava con la pesca presso un Caccia&Pesca dell’epoca, che era situato fra Via Ripoli e Via G.P.Orsini ( Firenze) il negozio si chiamava: Caccia&Pesca Casani e Rafanelli e non era legato a nessuna società sportiva dell’epoca.

Massimo che abitava penso ancora in zona all’epoca, nonostante l’alluvione del 1966, raccolse la richiesta del negoziante che voleva pubblicizzare quelle esche, e visto che esistevano già i primi BACHI (permettetemi la toscanizzazione) colorati, creò un cartellone pubblicitario da mettere nella sua vetrina, il cartellone recitava:

BACHI PRIMAVERA!

Bachini colorati verdi, rossi e gialli, come una grande fioritura…

Fu un successo di vendite, arrivarono anche gli agonisti di punta dell’epoca a rifornirsi, tanto che il negoziante credo dovette comprare un frigo nuovo più capiente.

La storia poi per Massimo ebbe anche un seguito personale, perchè in quel negozio transitò rimanendo impressionato dalla genialità del cartellone anche il proprietario di una grossa azienda dell’epoca, che poi in seguito una volta che Massimo si fu diplomato, assunse quel giovane e contagiato dalla sua passione per la pesca a mosca lo seguì su quella brutta strada, portandoselo seco a giro per il mondo…quasi una favola.

Torniamo a noi…

Questa esca ha la sua punta di diamante non solo nella continua pasturazione a cui i pesci si sono da decenni abituati, ma anche alla versatilità dell’innesco, si va dalla singola larva, rigirata ed infilata sotto pelle o calzata per tutti i versi, oppure a coppia, in tutte le sue varianti “69” compreso…. ai raggruppamenti più o meno consistenti sia innescati che incollati, sino alla famosa palla di bachi incollati con dentro un amo generoso.

Vediamo alcune foto

Ricordiamo che nel tempo si è tendenzialmente passati dal celare l’amo calzandoci sopra interamente il bigattino, alla soluzione amo scoperto appena infilzato sotto-pelle, stando attenti a non far gemere il bigattino, pena un suo precoce svuotamento che gli fa perdere vitalità, ma anche ad usarlo ( magari finto) su di una legatura esterna all’amo più o meno libera, anche se vedremo che negli anni non sempre è stato così, diciamo che ci sono pure state andate e ritorni.

Di questi inneschi DUE sono risultati molto produttivi:

ALLA FAENTINA

Correva il 1974-75 circa, almeno così mi ha raccontato l’amico Andrea, di Faenza quando (forse un vecchio agonista di fiume di nome Bel… -che ancora gareggia- ma che non ho scritto per intero, visto che andrebbe indagato a fondo se è lui l’autore della geniale riflessione…) studiò di innescare la larva incastrandola nella curva dell’amo; probabilmente per farla calare in orizzontale come le esche, almeno immagino, bisognerebbe sentire lui…ora detta così pare semplice, ma fra il dire e il fare… specie per non perdere l’esca quando si frusta, non deve essere stato per nulla semplice.

So che facendo prove su prove, fu all’inizio trovata una tipologia di amo commerciale che andasse ad ok, il primo fu (Hamecons – Au Lion D’or della serie 1209N ma anche quelli versione azzurra) poi ne fu scelta un’altra marca (Mustad di cui non leggo la serie, forse 267? )

sulla quale nella misura del size 20 si intervenne con le pinze modificandone la forma, sia nella piegatura del gambo, che nella disassatura fra punta e gambo stesso, trovando così un alloggio “confortevole e sicuro” – si fa per dire – per la larva, la soluzione in luogo prese il nome di “Sistema

Il nome dato mi riporta alla mente il mio “Sistemino” del piombo in deriva insegnatomi da Giuliano Calamai, ma lasciamo perdere che è un’altra storia…

Con l’evolversi dell’agonismo e l’entrata dirompente in scena della Roubasienne la cosa fu ripresa nel 1984 dall’agonista Alessandro Pazzi allora in forze alla Fishing Club Aurora che osservando anche lui il calo orizzontale in acqua delle larve lanciate per pasturare, studiò di appuntare la larva longitudinalmente a metà ( forse più verso la punta) per ottenere una discesa orizzontale anche di quella innescata.

(FOTO 9 gentilmente concessa dalla ditta CILROD)

LA PALLA INCOLLATA

Questa “discussa”( e per me poco sportiva soluzione, che mi riporta al discorso del pescatore Lupo Mannaro…) fu un lampo di genio di certo Massimo Filippini era l’estate 1988 e Massimo (che non conosco ma saluto con un grande abbraccio) che era agonista in forza all’Oltrarno C.O.L.M.I.C. in una pescata in Arno nel campo gara “Da Marino” in loc. La Nave a Rovezzano appena a monte della Città di Firenze si accorse di come qualche lesto cavedano, già in calata, gli mangiava la pallina incollata gettata per pasturare il fondo, e di li gli venne l’idea di usarla, fino ad arrivare per tenerla bene compatta sull’amo, ad usarne di giganteschi, specie se si pensa alla passata perchè si arrivò fino al size 1/0.

L’innesco/Pastura che richiamava un po’ il famoso “Pasterello” permise alla compagine d’Oltrarno di vincere numerose gare, e anche agonisti di livello nazionale in auge a quel tempo, una volta conosciutolo si affrettarono a copiare il sistema, tanto che la F.I.P.S. finì di lì a breve per proibirne l’uso con la causale: “ Non produce selezione tecnica” …questa soluzione la vedrei bene anche per la tanto “discussa boetta” che si usa ora nelle gare in fiume, brutta e portatrice di appiattimento tecnico. Anche se all’autore dell’idea niente da dire, l’intuizioni e la creatività avranno sempre il mio rispetto.

Negli inneschi si è sviluppata così quasi una religione, da parte di chi ne ha osservato con cura i movimenti in acqua, ed ha poi ad esempio compreso come procede la larva, cioè come cammina, ( non so chi sia stato) ma da quella osservazione è derivata ad esempio la tecnica dell’innesco più classico: quello da dietro con i due puntini( che sono le narici) che guardano verso l’alto e la punta dell’amo anche lei rivolta verso il cielo, pronta alla penetrazione, in pratica lo inneschiamo per il “naso”.

Gli occhi veri e propri sono sopra la bocca, vi metto per completezza la foto ingrandita al microscopio elettronico, della testa , cioè quella che chiamiamo punta. D’altronde anatomicamente ( tranne poche creature) la logica vuole che l’animale proceda nel senso della vista.

Detto di questi esempi, non resta comunque che confermare la sua versatilità alla presentazione, nel tempo si è studiato di tutto, ricordo Il Mario Molinari che ne spiegava il procedimento di “annegamento” in acqua in una rivista di Pesca In, cosa che fa assorbire aria (se non ricordo male), – non so se è idea sua o appresa dagli Inglesi o chi altro – al Bigattino e ne aumenta la galleggiabilità, tanto che può arrivare ad equilibrare il peso del piccolo amo, e far calare l’esca più o meno alla stessa velocità di quelle lanciate per pasturare.

Ma anche lo sfruttamento di tutti gli stadi di muta della loro crisalide sono stati presi in esame in tutte le loro gradazioni di colore, larve che si immobilizzano e divengono via via che “maturano” sempre più scure, e più pese nelle tonalità gialle e più leggere via via che poi si arriva al nero.

Queste varianti servono per pescare in tutti gli strati d’acqua anche a galla, e pure queste con inneschi multipli o anche incollati, penso al famoso gruppo di larve di Tafani (orsetti) usati nel momento che sono crisalidi per farne un’agglomerato galleggiante molto gradito ai cavedani del Mincio…

Ma il Bigattino non conosce limiti, si è usato chiaramente anche per pasturare: principalmente sfuso a fionda, o anche leggermente incollato per fiondarne il gruppetto più lontano o vincerne un vento contrario alla direzione che serviva, o sfruttare il loro disgregamento a “nuvola” ad una certa profondità.

Molto lo si è messo anche in pasture di sfarinati o incollato da solo o con la ghiaia, oppure nelle pagliette, o come faceva (e faccio pure io) l’amico Ferruccio che usa dei sacchetti di carta forati appesantiti con un sasso di fiume per piazzarli come bocce nel punto di fondo voluto, o usando sacchetti biodegradabili o quant’altro – tipo anche i famosi “maccheroni di terracotta”-

li possa veicolare in acqua in buona quantità senza essere subito predati dai pesci, ma che anzi serva a trattenerli a lungo in zona.

Ovviamente si sono pure aromatizzati, con tutto quello che ci è passato per la testa… c’era chi usava farli rigirare nel sangue coagulato ( che non si può usare ovviamente come esca) oppure nel gorgonzola, ma esistono ora in commercio tanti spray dai vari aromi e dalle varie proprietà con cui irrorarli.

Si sono adoperati anche quelli “marciti” cioè afflosciati già privi di vita, e in alcuni casi anche senza stare tanto ad aspettare che la cosa avvenisse naturalmente, ma dandogli una bella scaldata, o al sole oppure in acqua.

Non so se qualcuno ha provato pure a “macinarli” per veicolarli come “nuvola di pappa” ma non mi stupirei…

Sicuramente mi son perso qualcosa per strada…ma dovete sapere che sono del Club Piper cioè dell’idea di Pietro Pertusati espressa così bene nel libro “A Pesca Con i Campioni” di Mario Albertarelli nel 1971

L’importante è cambiare spesso innesco…Pietro ne era convinto perchè presentare un boccone già visto e scansato, può alimentare l’insuccesso, per x motivi, che magari sfuggono al nostro sguardo, esca rovinata, o non innescata sufficientemente bene.

Io sono dell’idea che ormai i cavedani di taglia che girano oggi nei nostri fiumi, con il C&R hanno già visto tutto e di più, e che per metterli in difficoltà nella scelta del boccone, sia più logico diversificare l’innesco anche molto spesso, che non affidarsi ad una ripetitiva consuetudine.

Un’altra cosa voglio scrivervi, che mi è apparsa sotto gli occhi recentemente, non ricordo letta dove, e scritta da chi, ma anche se non lo conosco mi complimento con lui per l’osservazione… mi ha colpito

Se ci fate caso quando innescate il baco ( in qualsiasi posizione lo facciate) quello inizia a dimenarsi con vigore, è un’animale tendenzialmente “passivo” come lo sono tutte le larve, che reagiscono, sentendosi minacciate, solo in presenza di un contatto; noi ci riteniamo soddisfatti di questo perchè l’extra vitalità che avviene ci genera sicurezze sulla sua attrattiva; ma anche un cavedano adulto può tranquillamente notare questa differenza e scegliere una larva meno attiva scansando la nostra, forse ci conviene bucarla male?

A parte tutto la soluzione non la conosco, anche il sistema ad incastro ( alla Faentina) genera comunque contorsioni, anche se più contenute nella larva; vedete voi, vi lascio con l’idea e non con la soluzione.

Mi raccomando di una cosa però, in tutto questo disquisire tecnico di questa esca non vorrei si perdesse di vista una grossa verità, quando il nostro

Bigattino è in acqua, le leggi della dinamica fluida e del vincolo che lo sostengono sono così tante che la TRECCANI su mia richiesta si è energicamente rifiutata di scriverci sopra.

Come a dire la tecnica serve indubbiamente assai, ma se siete degli sportivi e non dei “Lupi mannari” la vostra sensibilità nella guida della lenza ( o intuito, se ne siete dotati) e la buona conoscenza delle acque in cui pescate vale di più.

LE NOTE STORICHE

Ecco queste volevo scrivere: solo due note storiche e mi sono perso “ nei dettagli”!

Questo giro vi faccio fare il percorso alla rovescia, si parte da quando il Bigattino è nella sua massima auge fra i pescatori

Sono gli anni dal 1960 ad oggi, sono 60 anni di convivenza: puzzo in macchina, bachi che fuggono a giro sia in frigo che fra gli abiti, o nelle vetture, fioriture di mosche carnarie in tutte le stagioni, liti con le mogli, e per finire anche una certa abitudine al suo “odore” che certifica: PESCA!

Nei primi anni come era da immaginarsi c’è molto fai da te…mi vengono in mente gli scritti di Albertarelli come L’AMO e LA LENZA quando Mario parla di Massola un pescatore di Torino già vecchio alla fine degli anni ‘40 e della sua produzione di gianin dentro un bidone sul tetto di un palazzo… ma anche.

IL LIBRO PRATICO DEL PESCATORE ALL’AMO di Angelo Bruni edito postumo nel 1933 dove in una riedizione aggiornata del 1964 si certificava addirittura quante uova producesse ogni mosca ( circa 200) e se ne decantava la economicità, specie se la carne messa in putrefazione era qualla di asino che a quanto pare costava poco!

Andiamo a ritroso, siamo negli anni dal 1930 al 1940 il Bigattino c’era già, ovviamente il suo uso non era però massiccio come quello degli anni che abbiamo appena citato, era una larva come tante, come lo può essere un lombrico, un portasassi, un dormiente, una sanguisuga, un baco di Vallina ( per rimanere all’epoca) non ci si pasturava, almeno in Italia serviva principalmente per esca; ma c’era.

La larva fa la sua prima apparizione in un disegno del primo libro italiano sulla pesca: LA LENZA di Eugenio Barisoni, (1933 ) e guarda caso l’innesco sull’amo è già in due versioni: singolo, sia calzato che praticamente solo appuntato…corsi e ricorsi…oltre tutto la descrizione è: Larva della mosca vomitoria!

Ma non fermiamoci, andiamo ancora a ritroso…siamo alla fine del 1800 si avete letto bene fine 1800 quando in un libro anzi in una enciclopedia, perchè sono più libri: BILDER ATLAS del Tedesco Kurt Lampert edita nel 1901 a Monaco da SCHREIBER&BUNGEN . più precisamente nel suo IV volume al capitolo dove si tratta l’allevamento delle trote, si raffigura una cassetta da larve da porre nello stagno per l’alimentazione delle medesime,

la cosa, da buon tedesco è affrontata in modo pignolo e preciso: carne in putrefazione, di animale vario, anche di pesce, insieme a miscugli di farina di pesce, di farina di cadavere… e altre sostanze animali , impastate in piccoli boli, poggiati su di una grata, dove le mosche possono liberamente andare a depositare le uova, le larve una volta dischiuse mangiavano e poi precipitavano dai fori della grata in bocca ai pesci…questo lo scrivo anche per l’amico Massimo Gigli che suole ripetermi spesso ( quando catturo una trota ) che con i bachi abbiamo mutato le abitudini alimentari delle “sue Trote” …Massimo l’Ittiocoltura con la importazione delle Trote Atlantiche dal Centro Europa e dalla Francia in Italia già alla fine della seconda metà dell’800 faceva pervenire sin da allora nei nostri allevamenti e fiumi Trote svezzate a Bigattini…fai te.

Ma non ci fermiamo, ormai che siamo in fondo, scaviamo…scrivere di pesca su Facebook mi ha portato a conoscere virtualmente diversi pescatori appassionati, fra questi ultimamente mi è giunta una gradita Mail da un signore del 1936 che non è su Facebook e non vuol essere nominato, perciò mantengo il suo riserbo menzionando solo le sue iniziali A.C. l’amico è un laureato che per la tesi della sua Laurea in Greco antico( anni 70) ha scelto:

I PESCI nelle OPERE CLASSICHE DEGLI ANTICHI GRECI…non vado oltre, anzi si, fatemelo scrivere, A.C. immagino ( perchè non me lo ha scritto) su suggerimento di un comune amico Ittiologo, ha letto i miei post sulla Carpa e il Luccio definendoli nella sua Mail eruditi e divertenti, l’autore, imbarazzato, ringrazia.

Da lui ho ricevuto dei testi auto redatti in cui appare una nota che fa al caso nostro, siamo alla metà circa del 1500 quando il naturalista Svizzero Conrad Gessner in un suo scritto, per la pesca delle trote (Massimo…) con canna ed amo, consiglia delle larve e dice come procurarsele: “Prendete una gallina morta, riempitela di palle di terra e fatela imputridire alcuni giorni dentro lo sterco di cavallo, fino a che produce dei vermetti bianchi che costituiscono un’ottima esca per le Trote!

Insomma ai nostri pesci di acqua dolce, trote comprese (natura a parte) sono 500 anni, mezzo Millennio che buttiamo Bigattini!

Penso si sia al capolinea, almeno io non ho scovato altro.

Vi lascio con la foto di una ex Bigattino (la famosa “camicia”) con ancora su le impronte dei denti faringei di un cavedano, che certifica con la sua apparizione che la presentazione era stata ottima, mentre l’equilibrio in lenza un po’ meno perchè non ha segnalato a dovere al galleggiante l’iniziale errore del pesce.

A.Z.

Un pensiero riguardo “IL BIGATTINO

  • 2 Dicembre 2022 in 10:52
    Permalink

    Grandissimo Zaccaria. Da studiare per noi pescatori, anche se io a volte mi considero un ex e la cosa non mi fa piacere.Ciao.

    Risposta

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *