GLI ALBURNI (Alburnus)

ALBORELLA Alburnus arborella (Bonaparte 1841)

ALBORELLA APPENNINICA Alburnus albidus (Costa 1838)

ALBURNO Alburnus alburnus ( Linneo 1758)

Ammucchiata?

No dai, visto che sono tutte e tre specie diverse ( almeno al Novembre 2022) vediamo quanta lana caprina si riesce a districare.

Per fare una cosa fatta bene in questo caso dovrei cedere subito le armi al Nuovo Atlante Dei Pesci Della Acque Interne Italiane (edito nel 2016 dalla Aracne Editrice) una sorta di “Bibbia”dell’ttiologia Italiana (che sarebbe però l’ora di aggiornare…) messa su per gli appassionati dall’Ittiologo Nicola Fortini, lasciando così a lui la colpa, della eventuale mal riuscita…perchè andare a descrivervi pescetti del genere, e sperare di farvi risalire ad identificare con sicurezza la specie che avete all’amo, visto quanto si somigliano è veramente sperare nel miracolo ittico, se poi aggiungiamo che si possono tranquillamente ibridare fra loro, e con altri Leuciscidi cala la palpebra…

fra l’altro l’ibrido fra Alborella e Cavedano italico per diverso tempo è stato ritenuto una buona specie, facendo discutere diversi studiosi finchè quel benedetto Leuciscus lapacinus (SAMPIEROLO) di (Stefani – Serra -Loffredo -&Fossa 1987) con le analisi del DNA (immagino) non ha rilevato la sua natura ibrida che oggi tutti conoscono.

Su questo ibrido poi per chi ne vuol conoscere la storia sistematica, il Nicola probabilmente ci ha fatto su la tesi di laurea da come è andato a fondo nella ricerca, perciò non vado oltre nel copiare, evitando magari anche di farlo male, e di prestarmi a inutili brutte figure.

Mi permetto solo di aggiungere che un’altra “falsa specie” era già stata identificata nel 1886 circa dal Canestrini , e cioè l’ibrido fra Albursus alborella ( all’epoca ancora con la L) con Leuciscus aula, fino a poco tempo prima Leuciscus pagello -De Filippi 1844 insomma il nostro benamato (Triotto) l’ibrido andava sotto il nome di: -Alburnus alborella var. lateristriga – caratterizzata da una fascia grigia che scorre lungo il suo dorso, questo ibrido, come i già presenti anche allora ibridi far Alburnus alborella x Squalius cephalus (il già citato SAMPIEROLO) ovviamente con i nomi scientifici dell’epoca… e quello fra l’Alburnus alborella e lo Scardinius erythrophthalmus (Scardola) sempre con riferimenti dell’epoca.

Questi ibridi andavano tutti sotto il nome popolare di “Leppe” specie nel varesino dove ne avevano una grossa presenza nei laghi di Monate e di Varese
Notizie tratte dal *BELOTTI nel suo articolo: “sopra una forma ibrida di ciprinide esistente nei laghi di Varano e di Monate “ apparso su “Acquicoltura Lombarda nel 1904. (ovviamente erano ibridi “stimati” perchè all’epoca ancora non si analizzava il loro DNA)
* CRISTOFORO BELOTTI era un Ittiologo Paleontologo e Filantropo milanese, ivi nato e morto( 1823-1919)

Se c’è una cosa che comunque posso scrivervi per semplificarvi le loro identificazione è quella di prestare attenzione a due cose: la bocca e la taglia:

LA BOCCA

Almeno fra due specie cioè fra la A. Padana e la A. Appenninica ( areale Sud perchè non c’è in Toscana ad esempio) la bocca è identificativa: dovete tirare un’ipotetica linea orizzontale dalla punta della bocca verso la coda e vedere come interseca l’ occhio: se vi ritrovate l’occhio diviso in due parti uguali da quella linea, è la A.“padana” se invece sfiorate il margine inferiore del pocchio è la A. Appenninica, in pratica quella del Sud ha la bocca meno inclinata verso l’alto e anche più corta.

LA TAGLIA

L’ALBURNO ( che è alloctono, è in pratica l’Alborella continentale) e l’ibrido denominato:

SAMPIEROLO, sono entrambi pesci che possono arrivare ai 20 cm e anche superarli, perciò quando arrivate ad “Avole” di quella taglia non siete alla presenza di Alborelle italiche, perchè l’ALBORELLA padana può toccare circa i 12/14 cm la A. APPENNINICA invece rimane sui 10 cm

Per tutte le volte che ne pescherete di misura inferiore a 10 cm , per distinguerle, se avete curiosità per la materia vi consiglio comunque di acquistare l’ATLANTE del Fortini.

Quando Luigi Bonaparte Principe di Canino (e nipote di Napoleone Bonaparte) prese a studiarci su l’Alborella era finita nel Genere Aspius infilata lì dall’Ittiologo svizzero Agassiz nei primi decenni dell’800 il quale aveva pensato bene vista la mandibola più prominente della mascella di inserirla in quel “gruppo”

All’epoca degli studi del Bonaparte il nome popolare di questo pesce nell’Italia del Nord , nei grandi laghi era : ALBORO inizialmente ritenuto appunto una sottospecie dell’ASPIUS ALBURNO (finito anche lui in quel genere) l’Alborella Padana una volta diventata specie assunse poi il binomiale di Alburnus alborella.

Ma usciamo lesti dall’ambito morfologico/ scientifico, che spesso annoia …

Ora tutti potrei esserne sicuro abbiamo pescato l’Alborella in gioventù perciò il pesce è assai conosciuto, senza contare che nell’agonismo dalla fine degli anni ‘60 si è iniziata una vera e propria “specializzazione” mirata alla cattura ripetitiva di questo pesce, con addirittura gare a tema, con apposite pasture colgo l’occasione per salutare l’amico Roberto Borgi (Boghe) che ha da poco compiuto 82 anni e che si diletta ancora con gare a questi pesci, oltre ad essere uno degli ultimi artigiani/pescatori capaci di costruirsi canne in canna dolce con vettino di midollo di bambù, dedicate all’Alborella
Della costruzione di queste canne di canna dolce ho già parlato in altro Post perciò glisso, metto solo una foto.

Come non entro nel merito dell’impostazione agonistica al pesce, perchè non sono del “mestiere” e non mi interessa di ricercarne scritti di cui potrei fare solo un “copia incolla” senza “amore”.

La curiosità invece per numeri e pesi, non mi abbandonerà mai…non so a quanti pesci risalga il numero massimo di Alborelle pescate da un singolo agonista nelle 3 ore canoniche di gara, sicuramente si saranno passati i 500 pesci.

A tal proposito ho ritrovato una notizia curiosa rispetto al loro numero pescabile: nella Maratona Internazionale sul Ponte Diga di Melide sul Lago di Lugano nel 1984 la coppia Mantellassi-Cuomo fece registrare il record di oltre 22 kg di Alborelle, azzardando una trasformazione del peso in n° (considerando 15 grammi forse meno a pesce) penso si sia stati oltre le 1500 Alborelle, poi chi è addentro magari corregga.

P.S. non conosco i tempi di durata della Maratona di Melide.

Negli anni ‘70 nell’agonismo giravano già pasture specializzate, ami e galleggianti dedicati alla sua pesca, non essendo un’agonista vi metto le foto di galleggianti ed ami di proprietà di amici agonisti, come appare nelle didascalie.

mentre fra i pescatori per diletto del Nord veniva usata Lamettiera classica montatura con 5 ami del 22 come la eseguiva l’amico G. Gambarelli

Lenza che veniva chiamata anche *Lanzettera a secondo I luoghi, e forse anche in altri modi simili

come si legge in un testo del Gennaio del 1952 sulla rivista Tempo Di Pesca dove appaiono dei mini ami descritti a spillo piegato a V (forse erano questi quelli che usavano i bimbi in Germania nel 300 d.c.? Chissà…) l’articolo spiega di innescare frammenti di lombrico, il Gambarelli invece innescava il “borlottino” colorato, che abbiamo già incontrato quando ho parlato dei Bigattini; ma c’era anche chi successivamente prese ad innescare con gli “scoubidou” dei più resistenti tubini in gomma o plastica colorata generalmente di rosso innescati sempre sui soliti mini ami, “gommini che venivano usati anche per altri pesci: metto foto di un Pescare del Dicembre 1967 in cui appare il primo articolo che ne parla, con una lettera alla testata a nome di tale Pasqualino Verzellesi di Cremona

* La Lenzettera era comunque una lenza molto più vecchia degli anni ‘50 infatti nasceva in origine con il trave ed i braccioli in crine di cavallo!

Da me in Arno in verità il pesce è apparso per immissione gare dopo l’alluvione del 1966 perchè prima nella memoria dei pescatori fiorentini non v’è traccia…anzi ad essere pignoli e stando a M. Grazzini (in verbis 1989) pare essere giunta precisamente nel 1965!

La specie al Nord è in netto e allarmante declino per la solita valanga di problemi connessi con l’uomo (senza escludere i cicli naturali, dipendenti da freghe più o meno riuscite o variazioni sul tema, (tipo spostamento dei banchi di Plancton etc.) almeno dalla seconda metà degli anni ‘90 si studiano azioni di ripopolamento e salvaguardia del suo ambiente riproduttivo vedi es. nel Lago di Garda ancora nel 2021 ma già almeno dal 1997 ne venivano fatti ripopolamenti nel Ceresio e nel Lugano con non molti risultati.

Se si pensa ad esempio che per la pesca professionale su quei laghi l’Alborella rappresentava anche più del 50% del peso del pesce pescato, capirete l’allarme…per comprendere meglio, come stima per il lago di Lugano fra il 1982 e il 1995 risultano pescate qualcosa come 20 tonnellate di questo pesce, si comprende meglio il disastro economico ambientale!

Sino dall’epoche remote anche i professionisti le dedicavano attrezzature ( reti ) a soggetto: il Sibiello, il Linaio a sacco spesso (linaa a ca ss spess), il tremaglio, le chiuse (serrade o queglie) fino all’arboreto (alboree) che basta il nome.

Il più vecchio dato sulla sua pesca professionale che ho ritrovato è quello di un pescatore di Carate, che nel 1835, sotto le mura dell’abitato di Como con il Linarolo ne prese “ in un momento” più di DUEMILA LIBBRE!

D’altra parte questo piccolo pesce veniva mangiato in tutti i modi, ovviamente fritto, ma anche salato e disseccato al sole, si scrive: per essere venduto ai contadini di montagna a fare da companatico durante la quaresima!

Nei Paesi in riva ai grandi laghi esistono od esistevano… vere fiere dedicate a questo pesce, ad esempio quella “dell’ ambulina” a Pizzighettone in Adda.
Oppure come la fiera di Mendrisio che si tiene tutti gli anni 11 di Novembre in quella città del Cantone Ticino sin dal 1684!

Fra le tante notizie originali scovate dal 1800 salta fuori che a Primavera spuntava spesso fuori dalla testa delle Alborelle, generalmente sopra l’occhio, uno o più vermetti capillari della lunghezza di un’oncia; su cui il popolino rivierasco, ma anche gli studiosi tipo: Don Giovanni Bianchi già vicario a Lezzeno e nel 1864 curato a Brunate, sostenevano essere la prova provata che le Anguille nascevano dalla Alborelle.. risolvendo così il mistero della nascita di quel pesce.

Ma quando appare per la prima volta l’Alborella in un testo?

E chi le ha dato il nome?

Circa 390 d.C.

Visto che ci siamo caliamoci nei panni di chi ha entrambe le risposte alle domande che vi ho scritto.

Siete uno studioso dell’antica Roma e vi chiamate Decimo Magno Ausonio, siete nati a Burdingala ora Bordeaux nel 310 d.C. da una famiglia benestante e colta, e per meriti e fama vi ritrovate a fare da precettore a Graziano colui che diventerà nel 375 d.C. Imperatore di Roma.

Sotto il suo Impero combattete anche contro gli Alemanni, e per premio l’Imperatore vi nomina:

CONSOLE DECIMO MAGNO AUSONIO.

Morto Graziano nel 383 d.C. vi incamminate per tornare nella vostra terra d’origine e fate un lungo giro fra i fiumi del centro Europa finchè non arrivate alla città di Treveri una delle più antiche città della Germania( all’epoca: Augusta Treverorum ) dove scorre il fiume Mosella, fiume del centro Europa che per 561Km scorre fra le attuali Germania Lussemburgo e Francia prima di gettarsi nel Reno, e vi innamorate così tanto di quelle acque, e dei suoi pesci, da sentire la voglia di scriverci su un Poema…appunto “La Mosella”

Nel descrivere i pesci di quel fiume, vi imbattete anche in specie che non hanno un nome, nel senso che hanno solo un nome popolare, ma non un nome scientifico, che a voi serve per scrivere, come si conviene ad uno studioso, così dovete trovare dei riferimenti classici, Latini oppure ancora più antichi: Greci, a cui appoggiarvi, ma per quel dannato pescetto argentato non si trova niente; in specifico ovviamente, essendo Germania, stiamo parlando dell’Alburno cioè dell’Alborella Europea.

Così vi barcamenate sul quel suo essere splendente, e visto che in Grecia esiste un pesce che viene chiamato Leucisco, vi convincete che sia similare…in realtà il Leucisco della Grecia non c’entra un piffero nè con l’Alborella, (Alburno), nè con il Leucisco vero che è una specie del Centro Europa, ma non c’è in Grecia, molto probabilmente sotto quel nome si indicava il Cavedano europeo …

In ogni caso siete ancora nei guai, perchè dovete tradurre quella parola greca “Leucisco” in latino, se volete essere compresi, e così tradotto, approdate ad ALBUS che vuol dire “pesce bianco”… già presente in tutte le lingue per segnalare il pescetto, in Francia: “blanchette” in Germania: Weissfischlin; d’altra parte non è che in Italia si andasse popolarmente poi lontano… Piemonte: pesbianc – Veneto: pesse bianco.

Insomma da ALBUS a Alburnus sembra questo sia stato il vostro logico passaggio.

Ringraziando l’amico A.C. che da buon conoscitore del Greco antico mi ha edotto, vediamo come ci presenta “L’Alborella” il Console Ausonio:

Il testo in latino è composto da un rigo di 5 parole:

“et alburnos, praedam puerilibus hamis”

Cinque parole che però sono non solo la prima segnalazione scritta del pesce che si conosca, ma anche una incredibile sintesi descrittiva del suo rapporto con l’uomo!.

La traduzione è:

E te Alburnus preda degli ami infantili.

Ora a me personalmente fa impressione, leggere che quasi 1700 anni fa l’Alborella era già un pesciolino da pierini…anche se oggi “I pierini” sono quasi scomparsi come le Alborelle, e quelli che le pescano oggi in gara sono dei professionisti di questo pesce

D’altra parte ci sarebbe una montagna di cose su cui riflettere quando si scrive: “tempi moderni” oppure “ I tempi sono cambiati”… a proposito di tempi cambiati, lo sapete che età ritenevano idonea gli antichi romani perchè un bimbo iniziasse ad andare a scuola?

SEI anni…
Ma non fermiamoci alle prime, anche se importanti apparenze…c’è altro?

Certo, è certificato che nel 300 d.C. esistevano già gli ami… se fate una ricerca salta fuori che l’amo anche in metallo ha datazioni molto più antiche, con altri materiali poi si sfiorano i 40.000 anni e il più vecchio ritrovamento in Occidente è di 12.000 anni fa ( Palestina) all’ora dove è la stranezza?

La stranezza è che nel 300 d.C. esistevano già ami così piccoli da poter innescare e prendere un pescetto di qualche grammo con una boccuccia delicata, se vi sembra poco, e noi continuiamo a postare I Lion D’Or…

Andiamo avanti e vediamo anche gli altri nomi dialettali ripresi da un libro del 1908:

Piemonte: Ferrsa – Meliga
Lombardia: Arborella (Verbano-Mergozzo-Pusiano) Arbora (Como) Oa (Brescia) Aola (Mantova Endine, Trentino) Pessina, Varon ( Orta) Arboletta (Oggiono)
Veneto: Pesseta, Pessuncola, Pincia, Stirpa, Brussolo
Emiloia: Sferghèn, Cela, Lamèra
Toscana: Lasca (noi toscani per essere spicci chiamavamo Lasca tutti i leuciscidi o quasi, e da noi la vera Lasca nemmeno c’era…, prima o poi dovrò indagarne il motivo, o almeno a quando risale questa vecchia abitudine…)

LO SFRUTTAMENTO UMANO

Lo sfruttamento professionale di questo pesce a livello di pesca non si è limitato al suo consumo alimentare, che come abbiamo visto è stato, importantissimo nell’economia dei grandi laghi fino ad inizio ‘900
Oppure al suo uso dilettantistico anche come pesce esca.
Ma cosa risaputa, è stato anche sfruttato a livello “Industriale”:

le sue scaglie sono state usate per fabbricare le perle finte; ma vediamo la cosa nel dettaglio.

Nel 1656 in Francia si prese a sfruttare la sostanza argentina che si trovava abbondante come pigmento sulla faccia interna delle scaglie dell’Alburno “lucidis” l’attuale Alburno.

Il processo artigianale ha passato più fasi, in un primo momento si usavano ( come gioielli) dei globetti di gesso con su intonacata questa sostanza, la quale però a causa degli sfregamenti di questi “ ninnoli” sul corpo e le vesti delle belle francesine dell’epoca, finiva per renderle tutte “imbrillantinate” perchè la sostanza si staccava per abrasione.

Fu un certo Jacquin un noto fabbricante di corone di Chaillot, presso Parigi che nel 1860 ebbe l’dea di riempire con : “Essence d’Oriente” l’interno di piccoli globi di vetro, riuscendo così ad imitare in modo credibile le perle vere!

Il procedimento dell’epoca era:

Una volta prelevate le scaglie dei fianchi e del ventre dell’Alburno, le medesime venivano raccolte in un vaso in cui si rinnovava l’acqua a più riprese, per spogliarle della mucosità e da altri corpi grassi.

Successivamente alla pulitura venivano messe in un altro vaso con poca acqua e pestate energicamente almeno per un paio di ore; l’acqua così prendeva una tinta argentea, che veniva filtrata attraverso un panno di tela a trama molto stretta, il liquido lattiginoso che ne filtrava veniva raccolto e lasciato a riposo per giorni in un altro recipiente, finchè non se ne otteneva un precipitato di piccole particelle brillanti, che venivano trattate successivamente con l’ammoniaca, per cautelarsi da possibili putrefazioni, dopo altri giorni con la massima cautela si colava via l’acqua residua, la sostanza oleosa che rimaneva era la famosa: Essence d’Orient.

Servivano non meno di 5000 Alburni cioè circa 110-115 kg di peso per ottenere 2 kg di scaglie da cui si ricavava dai 25 ai 30 grammi di sostanza pura.

All’epoca il prezzo delle scaglie valeva fra le 20 e le 24 lire al kg!

Visto il ricavo lascio immaginare “le frodi” dei pescatori, che solevano mischiare in mezzo anche le scaglie di altri pesciolini…

Detto questo è normale che anche la perla finta finisse per essere comunque un gioiello venduto intorno alle 5 lire al pezzo, poi c’era la montatura…

Il procedimento moderno non lo conosco, ne l’ho ricercato, probabilmente oggi le faranno di plastica con le stampanti TRE D

A.Z.

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