HAMO ….STORIA ANTICA

Cari amici in questa estate bollente si programmano le ferie e se andrete all’ombra di un ombrellone al mare o in quella di un fresco bosco di montagna noi di MF, grazie al lavoro di un amico appassionato di ricerca sulle origini della pesca, torniamo a riproporvi dei testi che siamo sicuri vi piaceranno.

Ringraziamo dunque l’amico Zac che ha scelto MF per la pubblicazione del suo lavoro editoriale e iniziamo a parlare della storia dell’amo da pesca…

Buona lettura.

HAMO STORIA ANTICA – PARTE PRIMA –

Iniziamo con un epigramma, di nostro interesse, di Marco Valerio Marziale antico poeta romano (38-104 d.C.) : imitantur hamos dona: namque quis nescit Avidum vorata decipi scarum musca? Tradotto, i doni son come ami: chi non sa che l’avido labro è vittima della mosca che ha divorato? Si potrebbe citare poi Bartolomeo da Brescia (nato nella seconda metà del 1100 e morto nel 1258 ) e la sua opera Glossa ordinaria (1238/40-1245) nel cui scritto di studi di Diritto canonico Medioevale, l’hamo rappresenta la “iurisdictio” ossia il potere supremo di condannare o di assolvere, e dire così che l’hamo parte decisamente con un compito importante… Oppure ricordare che anche Francesco Petraca ( 1304-1374 ) pescava con canna e lenza anche se non l’ha mai messo in poesia, lo scrive in una lettera durante un ritiro nella sua Valchiusa al fratello e agli amici: “ Le mie sole armi ora son le reti e la lenza…con cui prendo i pesci in un labirinto di canneti”… e dire così che l’hamo è poesia. Od allargare i confini e ritrovarlo citato coperto di piume in un poema d’amore tedesco “Titurel” di Wolfram von Eschembach risalente circa al 1210… Ma a noi in definitiva non interessano nè gli epigrammi della Roma antica, nè la religione Cattolica, nè i Poeti nè i Poemi amorosi, ma la Pesca e i Pescatori, perciò entriamo in argomento.

HOOK

“ E’ facile comprendere che l’arte più sottile e difficile nel fabbricare la vostra attrezzatura sarà quella degli ami”

Così esordiva nel capitolo delle attrezzature sul suo testo Treatyse ,andato in stampa a Londra nel 1496 la badessa Juliana Berners, si, una donna, anche questa è storia, visto che Juliana, Julia per gli amici, risulta pure essere la prima donna al mondo, non solo che scrive un manuale di pesca,( in realtà la pesca è solo una parte minore della sua opera ) ma che abbia avuto un suo testo pubblicato in stampa.

Il suo testo sulla pesca, che è poi, oltre che probabile esperienza diretta, una raccolta di testimonianze orali, o brevi scritti precedenti, è il testo storico più conosciuto, specie dai fly, -visto che ci si ritrova descritta la costruzione di molte mosche secche – e – insieme al successivo del 1653 di Izaac Walton,( 1593-1683 )( “The Compleat Angler” il libro di pesca più riprodotto al mondo, solo in Inghilterra si contavano nel 1967 ben 385 ristampe, facendo, a livello di diffusione, competere questo libro con le opere di Shakeaspeare, la Bibbia e il libretto di preghiera Anglicano ( Te Book of Common Prayer ); I testi che hanno fatto credere per secoli che l’Inghilterra fosse la patria di questa arte, in realtà, già nei secoli precedenti 1200-1300 erano stati pubblicati manoscritti di pesca in Italia, Germania, Spagna, Svizzera e qualcosa anche in Francia, il motivo per cui l’Inghiletrra da questa immagine di se, risiede proprio nel fatto che in quella nazione, si continua anche successivamente al 1496, a preservare la memoria scritta di questa arte, con una intensa pubblicazione anche di altri testi, es: “The Art of Angling” del 1577 che sebbene pervenutoci in un’unica copia incompleta e senza il nome dell’autore pare accertato essere stata scritta da Thomas Barker e, pure scopiazzata dal famoso Isaaz W.
Talmente tanti testi che nel 1883 Thomas Westwood e T. Satchell nella loro “Biblioteca Piscatoria” catalogano qualcosa di imponente: 3000 testi andati in stampa già a quell’epoca; mentre nelle altre nazioni la tradizione spesso si spegne con uno o due scritti molto antichi, e difficilmente rintracciabili, finendo così per far perdere la conoscenza di quello che era;
tanto che quando se ne riscrive nei lavori successivi tardo medioevali o rinascimentali si fa riferimento all’Inghilterra come patria di quest’arte.
E’ anche questo il motivo che mi ha spinto nella ricerca e nello scrivere di attrezzatura e ricordi antichi specialmente per l’italia, perchè non sia disperso un seme, e un giorno fra i pescatori non si ricordi più che anche da noi questo “passatempo” è stato praticato almeno dal primo medioevo, e non come arte dei ricchi e dei nobili, come si pensa, anche se saranno proprio loro a godere dei primi scritti ( sapendo leggere) e a far apparire che la cosa fosse nota solo alla classe aristocratica e nobile ; ma come “arte povera”, perchè in realtà la pesca per diletto segue l’agricoltura e cioè i contadini, la gente umile; oltretutto quando si leggono i primi testi medioevali si ha comunque la certezza che quest’arte non è nuova, cioè i testi ne riportano i modi di eseguirla ma in nessuno si trova scritto che è una novità…e questo rimanda sicuramente ad epoche ancora antecedenti, se non addirittura ai testi egizi dell’ a.C.
Ma non voglio tediarvi ancora con la storia, e non è mia intenzione scavare nella presitoria, campo che non conosco, perciò torniamo agli “Hami” come i medioevali scrivevano la parola amo, per non confonderla con quella del verbo amare.

AMI

Julia la chiamo con il diminuitivo che si può applicare ad una divulgatrice diventata famosissima, esordisce come abbamo letto inizialmente, perchè gli ami una volta si costruivano da soli, e non parlo degli ami preistorici che i nostri antenati costruivano con quello che natura offriva: conchiglie, ossa, zanne, legno, pietre etc.
Ma di ami di acciaio!

Le istruzioni di Julia

Per la loro fabbricazione avrete bisogno di lime adatte, sottili, appuntite e ben forgiate; un morsetto di ferro, una piegatrice, un paio di lunghe e piccole pinze, un coltello resistente e spesso, un’incudine, e un piccolo martello.
Per i pesci piccoli farete così i vostri ami con gli aghi
Prendete degli aghi di acciaio più piccoli e quadrati che potete trovare.
Metterete questi aghi nel fuoco di una stufa finché non saranno dello stesso colore delle fiam- me.
Poi li toglierete e li farete raffreddare, a questo punto saranno ben temperati per passare alla lima.
Poi gli alzerete la punta con il vostro coltello e la renderete appuntita.
Andrà poi temperata di nuovo nel fuoco, altrimenti si romperà incurvandola, quindi curvatela
Forgerete ami più grandi allo stesso modo con aghi più grandi come quelli del ricamatore, del sarto o del calzolaio.
Gli aghi a fiocina dei calzolai sono i migliori per i pesci grandi.
Provate a incurvarli alla punta per capire se sono validi.
Quando l’amo è incurvato, battete la parte posteriore ben larga e limatela bene in modo che non sfilacci la lenza.
Rimettetelo nel fuoco e lasciate che prenda il colore rosso, poi immediatamente immergetelo nell’acqua e così diventerà duro e forte.
Quando avrete preparato i vostri ami come vi è stato insegnato, allora dovrete attaccarli alla vostra lenza, a seconda della dimensione e della forza in questa maniera: prendete della seta sottile rossa, e se si tratta di un amo grosso, allora doppiatela, non attorcigliatela, invece per gli ami piccoli lasciatela singola e con essa legate in maniera piuttosto forte la vostra lenza poco al di sotto della parte terminale dell’amo. Poi avvolgete per 2/3 della lunghezza l’amo con lo stesso filo e arrivati alla terza parte, ripiegate la vostra lenza sulla parte coperta dalla seta e poi di nuovo indietro, e avvolgete così con il filo di seta la terza parte.
Infilate poi il filo nell’asola lasciata dalla lenza due o tre volte, e fatelo passare tutte le volte attorno all’amo. Ora inumidite l’asola e tiratela affinché sia ben serrata.
Assicuratevi sempre che la vostra lenza sia legata bene al vostro amo.
Tagliate poi gli esuberi di filo e di lenza il più possibile senza intaccare la legatura.

Anche se ormai non ci costruiamo più gli ami da soli, è impressionante leggere queste righe del 1496 perchè ci si ritrova comunque qualcosa che ancora ci raccontiamo oggi…

ITALIA
Ma come vi ho scritto all’inizio, anche se in modo meno dettagliato da noi di Hami se ne scriveva già da secoli…Pietro De Crescenzio sul suo incunabolo composto fra il 1304 e il 1309 ne è il primo relatore.
Io ne ho letto la traduzione in volgare italiano (fiorentino) andata in stampa per la prima volta in Italia a Firenze nel 1478, e non dovete pensare che questi lavori di scrittura che comprendevano principalmente i dettammi dell’agricoltura, a cui la pesca veniva accorpata, siano stati testi limitati alla divulgazione in un territorio o in una nazione, il De Crescenzio viene tradotto e pubblicato in Francia poco dopo 1486
Passa quasi un secolo ed è ancora un best-seller, tanto che la Repubblica di Venezia ne licenzia una sua stampa il 29 Novembre del 1562.
Pietro, Bolognese ( la “razza” è già un un’indicazione di origine controllata…) dedica l’opera sua – Opus ruralium commodorum – a Carlo II D’Angiò, come già si usava dal tempo degli antichi romani quando Oppiano mise in versi la sua opera poetica sui pesci ( (Halieutica) dedicandola all’imperatore Marco Aurelio e a suo figlio Commodo, che tutti ricordiamo per il film “Il Gladiatore”; da allora per tutto il medioevo e il rinascimento ,tutti gli scritti degli eruditi, sia scienziati che poeti, furono spesso dedicati ad ingraziarsi qualche signore o potente dell’ epoca.
Tenete anche di buon conto che scrivere nel medioevo gli incunaboli ( cioè manoscritti antecedenti la stampa) oppure successivamente seconda metà del 1400-1600 le prime stampe, voleva dire passare il vaglio della Santa Inquisizione…oggi si rischia di intaccare qualche diritto d’autore, allora si rischiava la pelle.

Pietro in questo primo testo italiano dove si ritrovano accenni di pesca, non entra nel merito della costruzione degli hami, ma ne descrive l’impiego:
Ci scrive che per prendere i pesci con l’amo ci sono tre sistemi:
il primo consiste nel procurarsi un amo di ferro grosso e forte, e legarlo con una corda ben resistente e avvolta doppia, perchè i predatori non la possano rodere ( pensavano ovviamente al Luccio) e innescarci un pesciolino, la cui coda andrà poi legata ad una fascina di ramaglie secche, che servirà per bloccare il pesce che abbocca impedendogli di andare a infrattarsi in fondo alle acque, ed essere prelevato dal pescatore il giorno dopo.

Il secondo modo di usare l’amo ci dice Pietro è di legarlo ad una cordicella che finisce in cima ad una bacchetta…e quì siamo alla pesca classica con la canna.
E’ in questo verso che si ritrova scritta la prima nota italiana di innesco, dove Pietro si raccomanda di coprire bene l’amo, perchè ci sono dei pesci molto sospettosi che appena sentano la puntura dell’amo, lasciano e vanno via vanificando l’attesa ( immagino già con la fantasia un antenato dei cavedani di oggi di cui siamo abituati a dire :“nascano imparati…” chissà forse anche i cavedani medioevali hanno lasciato scritti per i posteri…)
In questo “capitolo” Pietro ci dà anche una dritta, in presenza di pesci sospettosi, togliere l’amo dalla lenza…non essendoci amo, siamo fuori tema, così vi lascio la curiosità …
Per finire indica anche quella di legare l’amo ad una corda e buttarlo a fondo con l’esca usando un piombo aggiuntivo e di legarsi poi, la corda rimasta a riva, al dito indice della mano, con cui poi dare il “trattone” o “tratta”, la “ferrata” di oggi, al momento dell’abboccata. Praticamente la pesca a filaccione.

PASSANO ANCORA DUE SECOLI
Siamo alla fine del rinascimento, anche se il testo essendo andato in stampa nel 1600 ad opera di un septuagenario ( lo dichara l’autore di avere più di 70 anni, di cui oltre sesssanta di esperienze di pesca con la canna…) si riferisce dunque alla seconda metà del 1500 perciò siamo nel rinascimento.
C’ è già la stampa, inventata in Germania nel 1450
Il nostro autore si chiama Africo Clemente e questa volta è di Padova, lui entra nel merito delle forme degli ami di acciaio, e ci scrive ad esempio che per ogni pesce c’è una forma di amo preferito…per i cavedani ad esempio ci dice di scegliere ami che non abbiano una punta molto alta, perchè il cavedano che è molto sospettoso se sente la punta lascia subito la presa e non torna più, per lui sono preferibili ami larghi ( vista l’apertura della bocca ) ma a punta corta.
Quello che fa più meraviglia però è una frase:
Io dice Africo preferisco gli ami Todeschi, perchè sono i migliori!
Ora pensate voi, siamo a fine 1500 Padova era ancora sotto la Repubblica di Venezia, l’Itaia del Nord doveva ancora essere invasa dagli Asburgo, ed era perciò una costellazione di Ducati, e comunque arrivavano già ami dalla germania…

Passano pochi anni che un suo contemporaneo: il bresciano Eugenio Raimondi in un suo lavoro sulla caccia, si prende la briga di scrivere di pesca.
Eugenio non sembra un pescatore di grande e provata esperienza come Africo, ma è comunque un’attento osservatore, e molto probabilmente ha amici pescatori, tanto che agli ami dedica un “capitolo” a se, è certo che abbia letto e preso spunto da Africo visto che fra i due scritti ci corrono 20 anni.
Qualità degli hami per pescare
Ci scrive: “ Parmi anco, che non picciola importanza sia il sapere la qualità degli hami che si dev’adoprar ‘ ad ogni pesce: altramente spesse volte si pescharebbe’ndarno”
Ovviamente sta comunque sul generico, ami forti per Lucci e carpe, non acuti per Cavazzini e Barbi, forti anche per le Tenche specie se si pescano fra le erbe.
Fra le notre curiose che Eugenio propina nel testo non posso tacerne una: “ Se non si vuole prendere pesce ( o far prendere scrivo io…) strisciare dell’aglio sull’amo” …

Per tutto il 1600 e 1700 i pochi lavori che in Italia rnominano la pesca per diletto con la canna, anche in poche righe, scopiazzano questi primi testi di Africo e di Eugenio

Concludo così quì questa prima parte, molto storica e poco tecnica, ma questo è quello che sono riuscito a ritrovare, nella prossima parte se avrete la pazienza di aspettarmi entreremo “nell’età moderna” e nei primi tempi dell’età contemporanea ( 1700-1900 poco più)

Australi Zaccaria

Un pensiero riguardo “HAMO ….STORIA ANTICA

  • 12 Luglio 2024 in 19:11
    Permalink

    Zaccaria è un enciclopedia colcuore in un mondo dove tutto e di più è demandato all’intelligenza artificiale.

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