LA NOSTRA ATTREZZATURA DNA BACCHETTE & CANNE

Come pare disse Dumas padre riferendosi con una freddura alla pesca:

*“Un bastone, un imbecille ad un capo, e un amo all’altro”

*(Il mondo delle Trote C. Sormano 1930)

La canna, anche se non è un violino, almeno fra gli attrezzi da pesca è quella che ha qualcosa in più; so bene che ci sono appassionati per tutti i componenti dell’attrezzatura: mulinelli in primis, galleggianti, ami, fili, piombi, ne parleremo, ma la canna oltre alle qualità tecniche che condivide con il resto dell’attrezzatura: prestazioni, affidabilità o estetica che sia, deve conquistarsi il nostro corpo, il nostro temperamento, per dirla all’inglese deve raggiungere con noi un feeling, quella che amiamo definire un prolungamento del braccio, è realmente qualcosa di “intimo” ed essenziale, perché la natura di questo attrezzo ci rappresenta ed identifica proprio come persone e pescatori.

Chi non ama la canna “non sarà mai un pescatore”, potrà prendere del pesce, certo, ma non parteciperà mai all’arte.

A.Z.

Da quando faccio ricerca storica sulla pesca alla passata, la curiosità mi ha sempre spinto a farmi domande, in apparenza semplici, ma che in realtà, per mancanza spesso di fonti o lavori storici mirati, si sono dimostrate le più difficili a cui rispondere in modo documentale.

Molte sono ancora lì che attendono una risposta, che non sarò probabilmente mai in grado di dare, di altre invece ho ritrovato le origini e le condivido volentieri con chi mi segue su Match Fishing Italia.

Poco tempo fa vi scrissi come venivano costruiti artigianalmente gli ami in acciaio.

Ora è la volta della CANNA DA PESCA

La canna, la prima canna, come era?

Con che materiale e come veniva costruita?

Rispondervi in modo generico scrivendovi che era logicamente un pezzo di legno intero, non avrebbe mai soddisfatto la mia natura di ricercatore, perciò ho preso in mano le “bibbie della pesca”, cioè i primi scritti, già citati nel lavoro precedente, quello sulle origini della Pesca alla Passata.

1496

La badessa Inglese Julia Berners nel 1496 da alle stampe il suo Treatryse.

Il Treatyse è così ricco di esperienza e di suggerimenti pratici per costruire una canna, da far supporre che queste cognizioni e tecniche siano state acquisite per antica tradizione orale.

Da studi fatti in Inghilterra sembra che quelle fonti orali appaiano per la prima volta in manoscritti databili fra il 1406 e il 1420 siamo in pieno Medioevo, ma non ci distraiamo, e lasciamo la parola a Julia…

“Ora vi insegnerò come fabbricare la vostra canna da pesca abilmente.

Dovete tagliare, tra i giorni di San Michele e Candelora (fra il 29 di Settembre e il 2 di Febbraio), dei bei rami dello spessore del vostro braccio e lunghi complessivamente metri 2,70 da alberi di nocciolo, oppure salice, o frassino.

Questi bastoni vanno poi infilati in un forno caldo ben dritti e poi lasciati raffreddare ed asciugare per un mese.

Dopo di che bisogna legarli con uno spago e saldarli bene ad una panca o ad una grossa tavola da costruzione perfettamente levigata.

Ora prendete un cavo di piombo ben liscio, diritto ed appuntito ad un’estremità.

Scaldate l’estremità appuntita in una stufa a carbone finché sarà rovente e poi perforate con esso i vostri rami sempre al centro del midollo in entrambe le estremità, fino a farle incontrare.

Dopo di ciò, ripetete l’operazione con degli spiedi da arrosto sempre più grossi in modo da rastremare il buco.

Lasciate poi riposare i rami per due giorni.

Slegateli e lasciateli asciugare ed affumicare in un sottotetto finché saranno completamente asciutti.

Nella stessa stagione prendete un bel ramo di nocciolo verde, mettetelo dritto nel forno e lasciatelo asciugare con gli altri bastoni.

Quando saranno tutti asciutti, fate in modo che il rametto di nocciolo entri nel buco degli altri bastoni fino a metà della loro lunghezza.

Per completare la metà superiore, prendete dei germogli di biancospino, melo selvatico, nespolo, o ginepro tagliati nella stessa stagione e scaldati ed asciugati come gli altri.
Legateli assieme in maniera molto ordinata e stretta in modo che possano infilarsi nei buchi di quella che sarà la metà superiore della vostra canna.

Raschiate ora la superficie dei vostri bastoni in modo da renderli più sottili. In prossimità del punto di congiunzione dei due bastoni legate dei cerchi di ferro, oppure legate ad essi saldamente nella maniera più precisa un incastro, in modo da poter staccare e riattaccare le due metà.

Ora fate in modo che la prima spanna dell’estremità superiore si innesti in quella inferiore, così che la sezione interna della parte superiore si incastri nel bastone inferiore.

Ora legateli insieme presso la giunzione con una corda di sei fili.

Fissate bene la corda e legatela saldamente alla giuntura superiore lasciando un cappio per attaccare la lenza.

Avete così creato una canna da pesca smontabile: potete portarla con voi senza che nessuno sappia cosa state facendo.
È leggera e ben bilanciata e vi consente di pescare come desiderate”

Ma in ITALIA?

1600

Beh in Italia nel 1600 è il padovano Africo Clemente, che nel suo trattato sull’agricoltura, quando ci parla di come allevare i pesci nelle Peschiere e di come prenderli con canna, lenza e amo, ci da un’interessante indicazione sulla punta della canna, lasciamo la parola ad Africo che nel 1600 già pescava da più di 62 anni…

“Quando si pesca la Raina, (Raina cioè la Carpa, che si pensa giunta in Italia nella seconda metà del 1400) che sia di 3 libbre o più, non bisogna tirarla su subito con viva forza, ma tenirla in gioco, fin tanto che si stracchi, molandole con destrezza la canna o bacchetta, la qual bacchetta, o canna, habbia una cima di legno di cornale sottile, e ben proportionata, che facilmente si domi, e pieghi al tirar che farà il pesce, e tanto più quanto sarà grande, altrimenti romperebbe la sedarina o l’hamo, overo si romperebbe la bocca.”

Già una vetta in “Cornale”…il “Cornale” come punta della canna è ripetuto anche in un seuccessivo lavoro (1621) del Bresciano Eugenio Raimondi, che sicuramente copiando Africo lo rinomina in “ Corniale” nel tradurre il bresciano del 1600, mi aiuta un vocabolario DEL 1817B redatto da Giovan Battista Melchiori: il legno Corniale è il Corniolo, pianta mediterranea cespugliosa, dalla natura molto tenace, nel Medioevo lo si usava per fare gli ingranaggi ( denti) delle ruote di legno!

Ma visto che ci sono vi dirò qualcosina in più di questi legno: la leggenda vuole fosse stato usato per costruire il cavallo di Troia, e la storia ci racconta che le aste delle lance della famosa falange macedone (Sarisse) di Alessandro Magno lunghe oltre i 6 mt fossero un giavellotti composti da due “stecche” di corniolo assemblate fra loro!

Direi che è abbastanza per comprenderne le qualità meccaniche.

1800

Ma è arrivata l’ora di ricercare la canna nel nostro più antico manuale da pesca (1843)

l’anonimo che lo redasse (di origini milanesi) ci lascia queste note:

“Una buona canna deve essere lunga da 20 a 25 piedi (da 6 a 8mt) e composta di 3 pezzi:

1- Manico formato da ramo di Corbezzolo, ben dritto e lisciato e di 33 millimetri (15 linee) al basso.

La sua lunghezza deve essere di 3 mt.(10 piedi)

2- Pezzo centrale esso pure di Corbezzolo di mt.3 ma assai più sottile.

Bisogna sceglierlo minuto e ben diritto, facendo guisa che sia meno grosso da cima che da fondo, tagliasi a becco di flauto ai due capi, quello del fondo allungatissimo, acciò si accomodi esattamente sul manico.

3- Finalmente la cima che deve essere un ramo di Olmo, il più dritto e vigoroso che si possa, con iscorza liscia fina ma densa!

Questa cima deve essere di 1 mt. (5 piedi) e va tagliata alla base sempre a becco di flauto per accomodarla al pezzo di mezzo.

Si collega il medesimo al sottostante con del filo cerato.

I pescatori che no ismontanno mai le lenze vi aggiungono anche una legatura con fili di rame.

Anche il pezzo medio si attacca al manico con filo cerato fortemente stretto sulla giuntura.

Dopo aver legato la canna il pescatore la scuota in aria, e se fatta a dovere non si sentirà alcuno scroscio, ne scuotimento nella mano.

Fansi queste canne anche con manico di canna,( canna palustre, di cui ho già fatto un articolo su MF) sono più leggere, ma non solide, se ne fanno anche a guisa di bastone, comodissime, la cima del bastone è a vite, si svita la cima e se ne traggono tutti I pezzi successivamente come I tubi di un canocchiale!
Sono questi mediamente di 3-4 piedi di lunghezza.

1862

Nel manuale dell’Ingegnere Cetti Giovanni di Como si trova scritto che oltre le classiche canne di canne di legno e canna dolce..

“ Sonvi pure delle lunghe canne fornite sulla loro lunghezza di piccoli anelli di ferro o di rame, i quali servono a condurre la lenza lungo la canna mediante un molinello applicato al suo principio, ma queste canne si usano per lo più per la cattura dei grossi pesci di mare”

Nel suo catalogo appare il primo disegno italiano di una canna da pesca

1900

Siamo al 1900 anzi al 1905 e quì si entra ancora di più nell’era delle canne dolci, in Arundo donax (Canna nostrale palustre) ma non senza aver prima parlato di quelle di legno.. sono 6 pagine intense quelle che si leggono sul Manuale del Pescatore del Luigi Manetti, edito da Hoepli di Milano, vi riporto per necessità di spazio, i tratti più interessanti:

“ La bacchetta o canna da pesca, qualunque sia la sua forma, che essa sia in più pezzi o in un pezzo solo, sia esso di questo e di quell’altro legno, ha una parte molto importante nella riuscita di una partita di pesca con la lenza.

Il suo compito è principalmente quello di dare a tutto l’apparecchio della lenza la massima elasticità per neutralizzare gli sforzi del pesce che si sente pungere e teme di essere fatto prigioniero”

“ I legni più diversi sono impiegati nella sua costruzione, dal ramo di salice, frassino, nocciolo e olmo; fino all’Hickory o noce di America, oppure il Greenheart (un legno molto denso di colore scuro che dava canne con azione lenta usate molto nella pesca a mosca in Inghilterra, questi ultimi due legni di importazione, provenivano uno dall’America e uno dall Guyana ed arrivarono circa a fine 800 primi 900 importati appunto da quei territori dell’Impero Britannico)

Il Manetti entra poi nel merito d’uso delle canne:

“Esiste una grande differenza fra una canna destinata alla pesca a mano ed una canna posata per la pesca della Carpa o del Luccio.

Per questa seconda la questione del peso non ha rilevanza alcuna, mentre per la prima, al contrario, è di una importanza grandissima!”

Il procedimento per “forgiare” i legni tagliati nel bosco per il Manetti sono questi:

“Quando la canna scelta è tagliata bisogna passare la lima sopra i nodi e raddrizzarla se non è molto dritta.

“Ecco come si fa a raddrizzarla quando ha delle gobbe: sopra un fornello pieno di bracia bella ardente, in un luogo aperto, in modo da avere il maggior spazio possibile, si posa un treppiede abbastanza alto, poi si fa passare radente alla brace la “canna” girandola e rigirandola in modo che, scaldandosi, il legno si rammollisca e ceda alla più piccola pressione. (questo avviene perchè la componente maggiore del legno è la cellulosa che rappresenta un 40-45% del suo peso da secco )”

“Una buona canna deve essere tagliata almeno 1 anno prima ed essere perfettamente secca.”

Il Manetti entra poi nel merito delle canne a pacco, cioè di quelle fatte in vari pezzi:

“Le canne in vari pezzi si compongono di 3-4-5-6 pezzi da unirsi alle estremità degli altri, a questo scopo ogni pezzo è munito di una vera o ghiera in metallo permettente di poter introdurre successivamente l’estremità di un pezzo nell’estremità di un’altro senza causare rotture nel legno”

“Che ciascun pezzo sia poi di 1,20 mt. o di 1,40 mt di lunghezza, poco importa; ciò che è veramente importante è che le canne a pezzi vadano decrescendo regolarmente di grossezza e che siano ben equilibrate in modo che il centro di gravità sia vicino il più possibile all’impugnatura.

Il che rende la pesca molto meno faticosa, e più pronta ogni manovra della canna.

Le ghiere o vere di metallo, rame o ottone saranno posate sul legno grezzo, non diminuito per non compromettere la solidità della canna.

Il Manetti ci dice la sua anche nella differenza fra le canne di Bambù e quelle di Arundo donax:

“Le canne in più pezzi devono essere di canna palustre, perchè quelle di bambù, tanto sono flessibili in un sol pezzo, tanto diventano eccessivamente rigide quando formate da vari pezzi.

Al contrario la canna palustre a pezzi acquisisce la giusta elasticità e solidità per essere usata nella pesca a mano.

Per il Manetti nel 1905 le canne ideali erano cosi composte:

1- Mt. 2,40 (1 Pollone (cima) di 1 mt. II° pezzo 1,40 mt.) per la peschetta in superficie

2- Mt. 3,80 (1 Pollone e 2 pezzi da 1,40) per profondità fino a 3,50 mt. (cavedani medi e barbi medi)

3- Mt 5,20 (1 Pollone e 3 pezzi da 1,40) per profondità fino a 5 mt. (Reine e grossi cavedani e barbi)

Luigi ci lascia anche un’altra nota:

“Regola assoluta per qualsiasi canna da pesca: la bacchetta o canna deve essere della stessa lunghezza della lenza; se vi è una piccola differenza questa deve essere piuttosto in meno che in più”

Su questa nota avremmo da fare più di una riflessione…nell’epoca delle canne fisse che abbiamo conosciuto noi, la regola che ricordo io era inversa, con la lenza anche un buon 40 cm più corta della canna che piegandosi in modo deciso, a lenza pari avrebbe messo in cris avvicinare il pesce al guadino…ma dovete tener presente che stiamo parlando di lenze di nailon con magari un terminale da 0,10 o 0,12 …nel 1900 i terminali( se escludiamo quelli con il crine di cavallo usati per pesciolinare e tirare il piccolo pesce a riva al volo ), erano ormai tutti in budello di baco della seta che aveva una resistenza di svariati kg alla trazione, cosa che probabilmente dava sicurezza anche a fine combattimento dando modo di salpare il pesce tirando direttamente la lenza con la mano.

Le riparazioni di un tempo.

Le canne all’epoca si rompevano spesso, oddio anche all’inizi dall’avvento del carbonio non si è scherzato… ma rimaniamo al passato.

Coscienti di questo i pescatori dell’epoca avevano spesso dietro almeno un cimino o pollone o bacchettina a secondo il gergo, di ricambio, alloggiato dentro al calcio della canna, a Firenze almeno alla fine anni 50/60 gli artigiani che costruivano le canne “ battevano il fiume”, i vari Arduino, Campatelli etc. erano a caccia di pescatori, come i medesimi insidiavano i pesci; giravano con le loro belle canne e le loro vette nuove in bella mostra.
Ma era città era Firenze, ma gli altri pescatori che giravano per posti meno urbanizzati come la risolvevano?

La canna si poteva rompere in qualsiasi pezzo, o almeno fessurarsi per colpa del mutare delle temperature o di uno sforzo troppo intenso, o per essere finita in acqua, oppure per colpa anche di un utilizzo poco competente.

Per la riparazione sul posto più comune bastavano poche cose, un temperino, una corda di canapa, e “il gioco era fatto”, il consiglio principale era comunque di rafforzare sempre il tratto di canna dolce libero da nodo a nodo con delle legature, in special modo nel sottovetta, ma anche nel pezzo sotto, questa precauzione rendeva il pezzo più solido e salvava da molti inciampi, ma se proprio avveniva una frattura completa, bisognava lavorare i pezzi sopra e sotto, come facevano i costruttori di canne ante ghiere cioè come abbiamo letto a becco di flauto, accoppiarle in quel modo e legarle saldamente.
Era l’epoca del fai da te, spesso la manualità era buona in tutte le persone.

Galleggiante

Ora dovete costruirvi il vostro galleggiante in questa maniera: prendete un buon tappo (dalla descrizione si suppone di sughero…) che sia pulito e senza troppi buchi, e trapassatelo con un piccolo ferro rovente, dopodiché infilate nel buco un bastoncino liscio e diritto.

Più grande è il galleggiante, più grandi devono essere il buco e il bastoncino. Ora dategli una forma allargata al centro e stretta alle estremità, in particolar modo la parte inferiore deve essere quasi appuntita e simile alla figura che segue.

Lisciate bene i vostri galleggianti con una mola o una mattonella. Considerate che il galleggiante per la lenza ad un filo non deve essere più grande di un pisello, per due fili come un fagiolo, per dodici fili come una noce, e così in proporzione alla lenza. Tutti i tipi di lenza che non sono per la pesca sul fondo devono avere il galleggiante.

Per chiudere questo primo pezzo di ricerca storica sull’origine della canna da pesca, vi metto le foto di un catalogo di vendita per corrispondenza, (1907) ritrovato dall’amico Gianfranco Gambarelli direttore del museo della pesca di Pizzighettone, che è stato gentilissimo nell’inviarmi le foto.

In questo catalogo francese del 1907 (Manifacture d’armes et Cylces) si vede bene quante tipologie di canne fossero già disponibili all’epoca.

Vi metto anche la foto della prima associazione di Pescatori di Torino nata nell’Agosto del 1900 dove si vedono presenti anche molte donne…ne parleremo; ma non prima di scrivervi il finale della storia delle canne da pesca quelle più moderne, ante avvento del carbonio, perciò prossimamente vedremo la storia delle canne in Conolon che molti di noi hanno usato da ragazzi.

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