CAMPIONI
Si può imitare l’uso dell’esca…
Si può copiare esattamente il materiale impiegato…
Si può rubare il posto ritenuto migliore…
Ma quello di cui è impossibile appropriarsi è il “ coefficiente personale”.
Quel senso dell’acqua, del tempo, del luogo, quella metodica preparazione, quell’applicazione perseverante, quell’intuito; insomma, tutte quelle imponderabili cose, che sono il vero patrimonio, e il vero segreto della loro riuscita.
I CAMPIONI DILETTANTI
Spesso rileggo Albertarelli e il suo “A Pesca con i Campioni” e mi chiedo quanti altri grandi delle sponde non hanno avuto e non avranno mai quella notorietà.
Saranno esistiti personaggi di fiume più forti del Sign. Quattroquintali (quando ancora lavorava): Filippo Scarpini ?
Ci saranno stati avi capaci di tale resa, o forse anche più forti?
Oppure posteri altrettanto capaci, senza andare a disturbare l’élite degli agonisti mondiali dagli anni 60 in poi che di visibilità e riconoscimenti sulle riviste di settore ne hanno avuti sempre a larghe dosi.
La risposta è sicuramente SI , anche per una questione logica di numeri e di tempi.
Saltando i nostri avi medioevali di cui vi ho già parlato: lo Spagnolo Ferdinando Basurto la badessa Inglese Juliana Berners, il Padovano Africo Clemente etc. etc. e tutti gli altri che ci hanno lasciato gli scritti antichi, ne ho ritrovati alcuni in qualche sparuto articolo sulle riviste dei primi del 900 e ancora di più dagli anni’30 in poi, quando in edicola è iniziata a circolare la prima rivista mensile che trattasse solo pesca per diletto: “Il Pescatore Dilettante” edito a Cremona dalla Soc. Editrice Nuova Cremona e uscito in edicola a Marzo 1935 con la rivista n°1 di saggio; all’epoca non c’erano i sondaggi, per calcolare la resa di un progetto, allora si usava pubblicare il primo numero e vedere come era accolto dagli utenti.
Successivamente lo fece anche la più blasonata delle riviste di pesca italiane: Pescare, che nell’Ottobre del 1962. uscì con il n°0 per poi iniziare le pubblicazioni a Maggio del 1963.
Allora vediamone qualcuno di questi “campioni antichi” consapevoli che al tempo c’era chi di pesca viveva, non per forza segnato nell’albo dei professionisti, (come sarebbe dovuto avvenire già per legge almeno dal primo ‘900) ma in modalità “zingara”;
Oltretutto nella pesca, anche con la canna, i popoli nomadi dell’est, nonostante che a molti non stiano “simpatici” per la diversa cultura e le problematiche di inserimento che comportano nella nostra società occidentale; da tempi molto remoti, fino anche agli anni ‘50 con la canna e le lenze in mano avrebbero potuto insegnarci tante cose, sono tutto meno che degli sprovveduti anche con questo attrezzo; ne ho ritrovato diversi scritti su riviste e libri.
Pensate al console romano Ausonio che nel 200 d. C. a passeggio per la regione greca della Macedonia, vide e mise per scritto come pescavano a canna i locali, che già imitavano con la lana e le piume di gallo le “mosche” del luogo per prendere i pesci a galla, probabilmente trote, visto che, non conoscendone il nome Ausonio ci scrive che erano dei pesci puntinati…”
*Oppure al fly G.E.M. Skues e un suo amico che nel 1897 ebbero modo di visitare la Bosnia andando a pescare in quei fiumi dove incontrarono locali che pescavano disinvoltamente con canne fisse chiamate dagli inglesi Loop-rod con lunghe lenze fatte con i crini di cavallo e ami ricavati da piccoli chiodi su cui avevano costruito “ mosche” lunghe e leggere: l’alba della pesca a mosca era ancora nei Balcani, e non mancava di una grande resa con la cattura di temoli di dimensioni generose.
*Lo riporta scritto Darrel Martin, Pescatore scrittore americano contemporaneo testimonial Daiichi e collaboratore della rivista Fly Rod & Reel. nel suo libro “ The Dry Fisher’s Craft “ ( Marzo 2016)
Il Primo
Tanto tempo fa…sembra l’inizio di una favola, l’arte aveva i suoi campioni e anche i suoi segreti beninteso, specialmente da parte dei più capaci, parliamo sempre di pesca con la canna.
Carlo Anfosso ( 1851-1920) arguto divulgatore scientifico del 1800 raccontava di averne conosciuto uno singolarissimo:
“Tutte le Domeniche mattina appariva armato di canna sul Ponte della Veneta Marina, appena ivi giunto si metteva subito a pescare, circondato da un numeroso stuolo di curiosi.
Gettava l’amo in acqua con ammirevole maestria.
Un minuto di attesa.
Poi alzava la canna con un bel pesce infilzato all’amo.
Un pesce ogni minuto!
E durava così fino a sera.
Se ne andava allora con la cesta ricolma, tacito come era venuto.
E infatti non parlava mai, non rispondeva a nessuno.
Non rispondendo a nessuno i curiosi e i suoi ammiratori si moltiplicarono, ma nessuno conobbe mai il segreto della sua fortuna”
Ovviamente manca il nome: non rispondeva…( dal Libro “Nel Mondo delle Trote” di Camillo Sormano 1930)
Un suo “contemporaneo estero” del 1800
Quando Ol Grillo pescava le Tinche.
Prima che sul lago di Lugano arrivasse la convenzione Italo-Elvetica (1880) la pesca della Tinca per i pescatori rivieraschi del Ceresio, rappresentava un vero e proprio cerimoniale.
Da generazioni ogni famiglia di pescatori aveva per diritto acquisito un proprio posto di pesca che nessuno si sognava di occupare se non era parente autorizzato.
Nei primi giorni di Aprile si iniziava a preparare il “letto per le Tinche” gettando al tramonto nel lago all’altezza della “Corona” impasti di Polenta e Pane, si andava avanti così per un buon mese fino ai primi di Maggio; quando iniziava la pesca vera e propria alla Tinca .
Questa attività ittica si trasformava allora in una vera e propria gara di prestigio personale, e di “Clan” familiare.
A Marcote paese rivierasco svizzero del Lago di Lugano, che dista 3 minuti di traghetto dal Porto Ceresio Italiano, nessuno riusciva ad eguagliare Ol Grillo nella sfida rituale fra famiglie, Ol Grillo (solo questo soprannome o nome, ci è pervenuto) era una specie di play-boy paesano, sempre elegante tirato a lucido con i capelli imbrillantinati, anche se in passato aveva avuto guai con la giustizia, il lavoro non era il suo forte…era incondizionatamente l’idolo dei ragazzi di quella borgata ceresana.
Non solo per la pesca, ma anche per le rocambolesche fughe sui tetti per evitare l’arresto da parte dei gendarmi, o le “rivalse” dei mariti…un “seguace” dello stile di vita del Casanova veneziano, con però il vizio della pesca.
Tornando alle Tinche, Ol Grillo era un pescatore senza rivali, ogni mattina con due canne riusciva sempre a prendere una decina di pesci.
Usava come filo un crine di cavallo attorcigliato e due ami belli larghi per canna. Per esca usava una sua miscela segreta la cui base era farina bianca e farina gialla, e …formaggio grattugiato!
Scoperto il segreto furono molti i discepoli che tentarono di emularlo, prendendo bene ma mai quanto Ol Grillo!
Dall’Enciclopedia “La Pesca nel cantone Ticino” di Raimondo Locatelli ( 1997)
I Mestieranti
Fra i campioni che non figureranno mai voglio ricordare una “categoria” i vecchi pescatore di mestiere (con la canna), “fotografati” benissimo in uno scritto sempre nel libro del
Camillo Sormani:
Questo l’Identikit:
“Tipo di uomo rude, forte, agile, taciturno.
Non è proprio muto come un pesce, ma poco ci manca.
Egli non possiede apparecchi costosi.
Non indossa costumi speciali.
Una canna robusta flessibile, munita di cordicella resistente fatta de’ soliti crini di cavallo e peli di Bigatto, pochi ami, il boccone, il sacco o paniere: ecco tutto, bagaglio e armamentario”
Sormani 1930
Nudo e crudo
ANNI ‘20
Cacciatori di cavedani
Sulla rivista mensile “Il Pescatore Dilettante” a Maggio 1943 a firma del co-direttore Ugo Veronese, si legge un articolo riferito a molti anni addietro, si presume che la storia si svolga fra gli anni 20 e gli anni 30.
“Parecchi anni fa quando bazzicavo l’Adda, presso una malfamata trattoria di Rivolta D’Adda, “malfamata”, perché sede e convegno di emeriti bracconieri, ebbi l’occasione di incontrare uno strano equipaggio: due ciclisti in tenuta alieutica, alquanto dismessa, che rimorchiavano in bicicletta, uno a destra e l’altro a sinistra, una grossa canoa.
Li rividi poi parecchie altre volte in diverse località, questi “cacciatori di cavedani” dalle abitudini nomadi, anzi zingaresche, i quali dormono più spesso nella loro barca che nei loro letti, e navigano l’Adda sempre da monte a valle, lasciandosi trasportare dalla corrente, che mai vanno a ritroso dell’acqua, ma lo fanno per le strade rimorchiando con le biciclette l’anfibia barchetta.
Da Fara a Castelnuovo i due insidiano i cavedani con la canna e la “mosca paesana”, fatta con penne di gallo e di gallina, (1)scendono la corrente con un unico remo a fare da timone, e frustano verso le rive più infrascate la loro mosca, la dove la sponda non presenta accessi da riva, e dove i cavedani più corposi attendono abitualmente la caduta degli insetti.
Anche le canne sono “paesane” fatte in un sol pezzo di 4 metri, flessibili come fruste che loro usano con rara maestria frustando a radere, con l’attrezzo che quasi sfiora l’acqua, con un sapiente colpo di pugno la canna flette solo la cima e proietta la mosca a battere la superficie nel punto voluto.
Fara, Cassano, Rivolta e poi giù, Comazzo, Spino, Boffalora, Lodi, Cavenago, Montodine, Gombito, Formigara, Pizzighettone, Acquanegra, Castelnuovo, e infine la foce d’Adda che si perde nel Po.
Non c’è pace per i cavedani, loro ne sono i signori”
Ugo Veronese
(1) Il Domenino nel 1851 sul suo manuale del pescatore, già avvisava: “Per la pesca detta“ della mosca viva” bisogna usare canne di rado superiori a 3,5 mt. Chi ama questa pesca dovrà cangiare soventi di posto lungo la riviera sulla quale va pescando etc. etc.”
1941
Balcon
Nel Settembre del 1941 sulla rivista Mensile “Il Pescatore Dilettante” Gino Calza ci presenta un campione certificato anche da foto, veniva chiamato “ Balcon” non so se fosse il nome o il soprannome, non è scritto, ma questo pescatore nel Lodigiano era considerato un fuoriclasse e probabilmente lo era anche a livello italiano.
Scrive l’articolista:
“Spesso in Lodi, Balcon batte le sponde dell’Adda a valle del Ponte in riva destra.
Sia in Estate che in Inverno, che il clima sia torrido o glaciale, con acque chiare o torbide, alte o basse, “Balcon” è sempre in azione, è sempre là, con la canna,( e che canna visto che sfiora i 15 metri), fra le robuste e magiche mani, a tendere l’insidia, con le più impensate esche, che egli sa scegliere a seconda la stagione, le acque e gli acquatici che insidia: cavedani e cavedani, savette, persici, barbi, carpe, tinche, trote, lucci, tutte le gamme di grosse prede cadono numerosissime nelle sue … sapienti spire. E’ uno stratega, lo stratega della pesca!”
Quando è sulla scena “Balcon” in un’attimo si raduna una folla di piccoli e grandi ammiratori”. Nella pesca del cavedano invernale usa ami del 7-9 innescando una piccola lampreda ben viva
I 2 Padroni dell’Isonzo
Questa è la storia di due pescatori che vivevano della cattura dei pesci e dell’insegnamento per prenderli.
Pescavano entrambi nell’ Isonzo, ma ognuno nella sua porzione di competenza.
Riportati in un articolo della rivista di pesca “La Pesca Italiana” del 31 agosto del 1943 a firma Emilio Sartorelli
Attilio il sovrano dell’alto Isonzo
Questa di Attilio è la prima delle due storie:
“ Lo incontrai che pescava insieme ad un maggiore degli Alpini e vedendomi interessato e a secco, mi disse che se ero in possesso della regolare licenza non avevo che da chiedere il permesso al Podestà, dirgli che mi mandava Attilio, e poi ripresentarmi da lui
Quando feci la richiesta il Podestà ebbè una smorfia:
– ha una bella faccia tosta …
ma come non è vostro socio?
– macché socio d’Egitto, non ha nemmeno la patente, è stato già condannato dieci volte, ma tanto va ugualmente!
– ormai lo conoscono tutti, conviene lasciarlo stare.
– di buono c’è che pesca solo con la canna e solo a mosca, ma prende più pesci di un demonio.
– L’ultima volta quando il Magistrato gli ha chiesto: che lavoro fate?
– ha risposto: “il Pescatore di frodo vostro onore”!
– E quando il Magistrato ha detto al cancelliere: “ avete sentito mettete a verbale”!
-E’ sbottato: “ Certo di frodo…dopo la prima condanna non posso più avere la licenza, che devo fare!
L’indomani pescai con Attilio la prima volta, mi spiegava che se trova pescatori per diletto capaci, che prendono troppo pesce, lui fa in modo di farli desistere…perchè lui il pesce lo vende, gli serve per vivere.
Di uno bravo disse:
– a quello gli rompo la canna senza che lui abbia da ridire.
E come farebbe?
– Bene mi fo prestare la sua costosa canna Inglese da 500 lire con la scusa di fargli vedere dove c’è una bella trota, e quando quella mi da io la ferro in anticipo così mentre è in volo si sgancia e io mando la lenza dietro e la faccio attaccare ai rami dell’albero, poi per “istinto” fò per frenarla mandando la canna in avanti e la rompo!
Così lei sarebbe capace di fare slamare una trota quando vuole?
– Certo è solo questione di pratica, con il Maggiore ho vinto anche una scommessa di 50 lire, avevo scommesso che avrei slamato tre trote di seguito e poi prese tre ferrate bene. E così ho fatto.
Questo è Attilio il Sovrano dell’alto Isonzo.
Andrea il sovrano del medio Isonzo
Andrea domina la parte mezzana dell’Isonzo senza che fra lui e Attilio ci sia contrasto, basta rimangano ognuno nelle “ zone competenti”.
Andrea è Croato è dai primi anni’20 che è in Italia, ma rimane un “ non integrato” anche la lingua gli è ancora ostica, mascolinizza ancora le voci femminili:
– “Montiamo in bicicletto”-
-”Oggi prendiamo trota con cavalletti”
-”Ora andiamo all’osteria a prendere un birro”
E via di seguito-
C’è voluto del tempo perché si entrasse in sintonia, Andrea è un pescatore di straordinario valore, sia con le esche naturali, che con quelle artificiali che si costruisce da solo.
Egli ama il suo Isonzo come un indigeno, di un’amore che ha del selvaggio e del superstizioso, sia quando sereno come un cielo dopo la pioggia, sonnecchia placidamente incastonato fra il bianco delle rocce, sia quando incollerito, cozza e s’impenna contro gli scogli lasciandosi dietro una criniera di schiume.
Andrea ne conosce tutti i recessi, tutti i fondali, i punti deboli dove talora si lascia traversare a guado, e quelli che nascondono l’insidia mortale.
E’ un maestro nel prendere le trote con la locusta.
Anche nelle giornate più scontrose è insuperabile nella perizia con cui aggancia e recupera i grandi temoli con un un amo minuscolo in punta delle loro fragilissime labbra.
Quando impartisce lezioni non ha riguardo per nessuno…una volta persi un gran temolo per l’impazienza d’impadronirmene, detti uno strappo troppo violento alla canna e ruppi il setale con due mosche artificiali sopra.
Ah la tragedia, quelle mosche erano sue, fatte con le sue mani, provai ad offrirgli in cambio le mie che avevo da poco acquistato…santi numi, nemmeno gli avessi dato un cazzotto…riacquistai la sua fiducia solo dopo aver agganciato e salpato con correttezza quattro temoli di seguito eseguendo le sue indicazioni.
Mi ricorda un “ibrido” fra Franco Borona e Dante Zavattoni di Albertarelli memoria.( disegno)
Più avanti farò un articolo anche su gli agonisti della prima metà del 900 con tanto di loro lenze, cioè di quelli agonisti di cui non si ritrovano gli scritti e le classifiche sulla rivista Pescare
A.Z.
Un articolo da stampare, rilegare e custodire assieme ad altri suoi scritti, signor Zaccaria.
Da lei leggiamo sempre cose molto interessanti, non vedo l’ora che esca l’articolo sugli agonisti della prima metà del 900 (chissà se ritroverò qualche anziano pescatore che ho avuto la fortuna di conoscere da adolescente …)