NONSOLOPESCA: PIU’ PLASTICA CHE ACQUA?

Bisogna frequentare gli ambienti acquatici per prendere coscienza di quello che è un problema molto serio e del quale non si parla molto, forse perché è sopravanzato dai media che denunciano le forme di inquinamento più visibili ed eclatanti, soprattutto quello dell’aria, che ci impone, al superamento di certe soglie, di dover rinunciare alla “tanto cara” automobile.

Parliamo delle immani quantità di materie plastiche che riversiamo quotidianamente e più o meno consapevolmente, nell’ambiente.

Stiamo, si, cercando diligentemente di fare la raccolta differenziata ma non la mettono in atto che piccole frazioni della popolazione mondiale: chi è affannato dalle guerre, dalla fame e dai mille altri problemi che l’umanità incontra, o che sia dominato dall’indolenza, o che si tratti di un’organizzazione criminale, non si pone sicuramente la domanda di che fine farà la plastica monouso, cioè la bottiglia, lo spazzolino, il tappo, il mozzicone di sigaretta, il cotton fioc, la carta di caramella, gli assorbenti igienici, le buste di plastica, le posate, i piatti, le cannucce, i bastoncini dei palloncini, i contenitori del cibo, specie quelli dei Fast Food ecc. che, anche se non gettati direttamente nelle acque, ma che vengano buttati via con negligenza o in modo fraudolento, prima o poi nelle acque ci vanno a finire per eleggere mari ed oceani a dimora definitiva.

Un dato che pochi conoscono: un mozzicone di sigaretta può inquinare dai 500 ai 1000 litri di acqua e, gettato in terra, impiega fino a 12 anni per distruggersi.

Da TG 2000: Nell’Oceano Pacifico tra la California e le Hawaii galleggia un’ isola di plastica (Plastic vortex) di 1,6 milioni di km quadrati, tre volte l’estensione della Francia, una massa di 1,8 trilioni di oggetti pesanti complessivamente 80.000 tonnellate.

E’ la grande chiazza di plastica del Pacifico come è stata chiamata della fondazione olandese The Ocen Cleanup che ha fatto una stima delle sue dimensioni e della sua composizione impiegando 30 navi e 2 aerei.

Quest’isola è dalle 4 alle 16 volte più grande delle stime fatte in precedenza ed è formata per il 46% da reti da pesca; il resto dell’isola è formato da plastiche rigide come polietilene e polipropilene.

I ricercatori hanno trovato in acqua oggetti intatti risalenti persino agli anni 70. L’ 84% del materiale controllato contiene sostanze tossiche. Negli anni 70 la densità era di 200 g di plastica al metro cubo di acqua, oggi invece supera il chilogrammo.

Gravissime le conseguenze per l’ambiente, gli animali e l’uomo: i pezzi più grandi di plastica infatti come le reti e i sacchetti imprigionano, soffocano e addirittura uccidono gli animali marini. I pezzi più piccoli invece vengono ingoiati dai pesci ed entrano della catena alimentare finendo sulle tavole degli esseri umani.

Anche da noi è emergenza rifiuti: forse non saremo allo stesso livello del Plastic Vortex, ma quello della plastica è un grosso problema ambientale anche nei nostri mari e nei nostri laghi.

Qualche tentativo di porre rimedio al problema

Il Parlamento Europeo ha approvato la messa al bando delle plastiche monouso che costituiscono il 70% dei rifiuti marini. La nuova normativa dovrebbe partire dal 2021. La gran quantità di rifiuti dovrebbe essere ridotta del 50% entro il 2025 e dell’80% entro il 2030.

• I Comuni dell’isola di Ischia hanno deciso di allearsi e per la prima volta hanno deciso di lavorare insieme per liberare i fondali da ogni genere di immondizie con la collaborazione dei pescatori del luogo e dell’area Marina protetta “Regno di Nettuno”. In una settimana sono stati portati a galla quasi 10 quintali di rifiuti. Sono stati trovati tubi, pezzi di plastica, reti, nasse, bottiglie ecc.

Ci sono degli oggetti in particolare, come dichiara la Coordinatrice dell’operazione, che una volta gettati in mare restano lì in eterno, basta considerare il vetro ed alcuni tipi di plastica che si frammentano in frazioni sempre più piccole a formare le microplastiche che poi vengono assorbite dagli organismi marini e, come detto, alla fine, nutrendoci di pesci e crostacei, le ingeriamo. Ma soprattutto, quello che è più grave, restano molto più lungo di noi e quindi rimangono in eredità per le generazioni future.

Boyan Slat, un giovane olandese, qualche anno fa si trovava in Grecia, d’estate, e immergendosi si rese conto che in acqua c’erano più buste di plastica che pesci. Colpito, incominciò a pensare ad un modo per ridurre il problema: in poco tempo fondò nel 2013 una organizzazione no-profit, la già citata “The Ocean Cleanup” che nel giro di qualche anno ha raccolto nel mondo 32 milioni di dollari che sta impiegando per realizzare il suo progetto: ripulire i mari con grandi tubi curvi e galleggianti lunghi 600 metri, ai quali è agganciato uno schermo di poliestere profondo 3 metri, non pericoloso per gli animali e che, lasciati al largo da una nave e controllati via GPS, dovrebbero creare un accumulo di plastica che verrebbe recuperata una volta al mese per essere poi riciclata. L’obiettivo, molto ambizioso, è quello di recuperare entro il 2040 il 90% della plastica galleggiante.

Ci riuscirà? Noi lo speriamo e ce lo auguriamo ma mettiamoci in testa che per ripulire in gran parte il mare, da OGGI dovremmo smettere di sommergerlo con un mare di plastica.

Renato Rosciarelli

 

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