AD ANITA SCENDE LA PIOGGIA E IL PESCE MANGIA ECCOME SE MANGIA!
Piove ovunque e questa volta i siti meteo ci hanno preso, e così salta la trasferta ad Adria dove mi ero prefissato di andare per una pescata nel Collettore Padano.
Infatti da quelle porte piove di brutto e così decido di fermarmi la dove tanti anni fa avevo iniziato, ad Anita.
Questo canale negli ultimi anni è stato spesso gioie e dolori ma il suo fascino induce sempre a tentarlo e chissà che ….. male che vada non farò troppo tardi a tornare verso casa.
Nove volte su dieci l’ho trovato con acqua ferma e questo particolare, come tutti sanno, rende il pesce molto più diffidente e le pescate molto più povere ma non oggi.
Lungo i sei km di canale trovo solo tre pescatori e mi riferiscono che qualche pesce si prende, molto bene, almeno le premesse sono positive.
Vado nella parte alta del canale, vicino ad un ponte, e al mio arrivo lungo l’argine trovo solo un centinaio di storni al pascolo, e decido di mettermi proprio in quel posto.
Sicuramente gli storni avranno pensato “con tutto lo spazio che c’è proprio qui doveva venire a rompere”.
E con il senno del poi posso dire di avere scelto proprio bene alla luce delle tante catture realizzate.
Ma andiamoci piano, come nelle migliori tradizioni delle belle storie l’inizio è stato tutt’altro che semplice.
Decido un approccio per insidiare le breme, preparo due canne come se dovessi fare una competizione, addirittura ad una cambio il vettino perchè mi sembrava troppo rigido e poco incline a segnalare le abboccate.
Apparecchio la tavola, con le migliori esche che poi alla fine sono sempre le stesse, bigattini in ogni salsa, bianchi e colorati vivi, affogati, caster e raparini. Non manca neppure la scatola di vermi e il mio inseparabile mix di granaglie tritate tra mais, canapa e ravizzone.
Questo composto di granaglie preparato a casa in piccoli sacchetti da 100 grammi e congelato per renderlo più morbido non manca mai nel mio piatto così come i caster che devono essere sempre presenti e che se posso preferisco preparali da me.
Ho un metodo per produrli che mi permette di portarli a maturazione belli gonfi di crema e affondanti.
Con questa esca ho salvato le penne in tante gare e senza la quale mi sento privato di un asso nella manica.
Tutto pronto, l’acqua spinge parecchio, e così delle due canne scelgo quella con il trecciato dello 0,8 in bobina per subire minor pressione sulla canna.
Parto con il primo lancio a tre quarti di canale, la dove la profondità è maggiore.
Ho scelto un pasturatore tipo open end da 30 grammi, esche all’interno e due tappi di pastura a chiudere.
Inizia l’attesa verso l’appuntamento con la prima mangiata.
Passano cinque minuti e nulla si muove. Rilancio con lo stesso approccio, altri cinque minuti di attesa ma ancora nulla si muove.
Dopo mezz’ora di lanci e rilanci decido di girare le esche e finalmente vedo il primo segnale trattasi di una piccola mangiata figlia di una abboccata di una timida alborella.
Cambio terminale, filo dello 0,11 e amo del 22 serie c222, ci vado di fino ma non trovo miglioramenti.
Decido dunque di cambiare strategia, lascio la pastura e vado all’attacco con un black cap da 30 grammi misura small che carico solo con dei bigattini vivi sfusi e caster.
Sull’amo del 16 serie 1090 innesco tre bigattini vivi rossi e appena il filo termina di affondare, come per magia, la canna parte dal feeder arm e d’istinto aziono la ferrata e la battaglia ha inizio.
Il primo pesce della mattinata, arriva a guadino e saluto così il primo carassio over 1500, caspita che pesce!
Rilancio e con i tre bachi vivi trovo anche parecchio disturbo di pesciolame, piccole tocche , ma mai una partenza decisa come quella del carassio.
Ragiono, e decido di innescare tre caster come ho fatto tante altre volte quando volevo meno disturbo del pesciolame.
Ebbene si, la scelta è stata quella giusta, la canna vola e ancora una volta il fratello gemello del primo carassio sale a bordo della mia nassa.
Prendo entusiasmo, e adesso la pescata mi piace anche se a rovinare la festa ci pensa il vento gelido che verso mezzogiorno si alza e mi soffia in faccia, mi entra all’interno della giacca e si intrufola lungo la mia schiena e nemmeno la maglia di lana della salute, la camicia in flanella e un bella felpa sono sufficienti a darmi protezione.
Resisto perchè è mezzogiorno, mezzogiorno di fuoco, ma questa è un’altra storia anzi un altro film.
La canna parte ancora e ancora e arrivano diversi carassi e poi una breme gigante lunga quasi 60 cm tanto quanto è lunga la mia vasca porta esche.
In Toscana direbbero “maremma majala” e io invece che sono romagnolo purosangue pronuncio un altro intercalare che adesso non mi va di ripetere perchè rovinerei la seriosità di questo articolo.
Una padella gigante ad Anita, che spettacolo!
Intanto si sono fatte le 13,30 è l’ora del caffè, il pranzo lo salto quasi sempre ma mai il caffè caldo.
In auto ho sempre il mio bar caffetteria personale e faccio pausa caffè con tanto di sambuca per la correzione.
Che spettacolo, il caffè bollente mi ha rigenerato, il mio corpo ha ritrovato la giusta temperatura, e la canna è in attesa e implora di andare a caccia degli ultimi pesci del giorno.
Si riparte e sono ancora alcuni pesci ma la taglia è scesa forse la pausa caffè ha permesso di attirare anche qualche bremotta.
Prendo un altro carassio enorme, ma mi parte verso le canne sottoriva e lo perdo, peccato era davvero notevole ma ben preso si fa perdonare con un’altra bella breme.
Il vento intanto ha portato del nero sopra il canale e le prime gocce di pioggia iniziano a scendere.
Meglio darsi da fare per chiudere in tempo prima che sia troppo tardi, devo ancora fare le foto, così monto il cavalletto e inizio a farmi degli autoscatti con qualche pesce per immortalare il risultato della pescata.
Quando metto in auto gli ultimi accessori lo scroscio di pioggia arriva prepotente ma ormai sono al caldo e l’auto è già in strada.
Il profumo del caffè dentro l’auto si mischia con quello del pesce che ha impregnato la mia nassa e con questo strano mix di odori che sembra fatto apposta per togliere la fame tanto è nausebondo.
“Scende la pioggia” cantava Gianni Morandi negli anni 70 e io replico “e chi se ne frega”.
Nelle tre foto seguenti la sequenza della mangiata a canna dritta: prime due foto la canna è in attesa con la cima scarica, nella terza foto la mangiata fa alzare la canna e la cime va in tensione ed è strike!
Ecco il risultato di questa mangiata, un carassio di media pezzatura.